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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-04-07 ad oggi 2010-04-07 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

Legittimo impedimento, via libera al disegno di legge approvato in via definitiva il 10 MARZO scorso

Napolitano promulga il ddl

Scudo processuale di 18 mesi per il presidente del Consiglio e per i ministri. Di Pietro:ora il referendum

il vertice di arcore tra berlusconi e bossi

Accordo sul metodo delle riforme, accelerazione su giustizia e federalismo

L'esito del vertice tra Lega e Pdl: i leghisti prepareranno dei testi che poi saranno discussi con gli alleati

il presidente del consiglio: "aperti alla prospettiva di un ritorno deLL'UDC"

Riforme, Calderoli presenta la bozza Il premier: pronto a vedere le opposizioni

Il ministro al Colle per consegnare il testo. Il leader Pd Bersani a Berlusconi "Ci vediamo in parlamento"

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Dalessandro Giacomo

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Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

…..

 

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-04-05 ad oggi 2010-04-09

AVVENIRE

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2010-04-09

9 Aprile 2010

PROVE D'INTESA

Napolitano a Verona: "Riforme,

tre anni da non sprecare"

"La fine di questa legislatura coinciderà con la fine del mio mandato al Quirinale. Facciamo che non sia una legislatura sprecata per le riforme". Il presidente della Repubblica, all’indomani dell’apertura del presidente del Consiglio alle opposizioni, rilancia con maggiore fiducia, e con un accorato riferimento personale, il suo monito di sempre: "Discutiamo quali sono effettivamente necessarie e realizziamole", auspica. Il Presidente della Repubblica parla al Consiglio comunale di Verona, in casa del sindaco Flavio Tosi e nella Regione del neo-governatore Luca Zaia. Praticamente nella tana della Lega con la quale è palpabile la sintonia operativa, non fosse altro perché le riforme "condivise", che auspica il Colle sono anche l’obiettivo irrinunciabile di Umberto Bossi. Il quale ai suoi fedelissimi ha spiegato chiaro e tondo che di un nuovo referendum confermativo (che scatterebbe in caso di riforme costituzionali senza il quorum dei due terzi) non vuole sentir parlare, per non ripetere l’errore del 2006, che il senatur imputa alla sua assenza dalle scene per la malattia.

E il più solerte attuatore del verbo bossiano è non a caso Roberto Calderoli. Il quale "funziona a comando", come rivendica Bossi nel suo solito linguaggio colorito ed esplicito. "La proposta di Calderoli è anche la mia. Berlusconi l’aveva già vista a Milano e ci ha garantito che si dovrà decidere insieme", dice ancora Bossi. E se ci fossero stati dubbi sul gradimento da parte del Quirinale della visita che il ministro ha fatto mercoledì (che qualche malumore ha provocato nel Pdl, forse premier compreso), ci ha pensato lo stesso Calderoli a sgombrare il campo rivelando che la sua salita al Colle per mettere al corrente Napolitano dell’evoluzione del progetto riformatorio è stata richiesta proprio dal presidente della Repubblica. Che evidentemente intendeva in questo modo rilanciare sulla necessità di allargare il cantiere all’opposizione, che a un certo punto sembrava fuori gioco. Ma alla fine - una mano l’ha data certamente la promulgazione del legittimo impedimento - la linea del dialogo dell’asse Lega-Quirinale ha prevalso anche nel dibattito interno all’ufficio di presidenza del Pdl, e Berlusconi se ne è fatto carico.

Ma, tornando alla sua visita a Verona, Napolitano ha auspicato che si facciano "passi in avanti nella direzione delle riforme con la condivisione necessaria e senza disperdere le occasioni". E nella città scaligera il feeling Lega-Quirinale diventa idillio. Giudizi sobri, ponderati, sebbene espressi nell’ambito del Vinitaly. Tosi - che tre anni fa aveva tolto l’immagine del presidente, per sostituirla con quella di Pertini e del Pontefice - e ora ci ha ripensato invitando il presidente a far visita nella sua città, confessa con grande candore di aver rivisto le sue posizioni: "Ho avuto modo di apprezzarlo e di ammirarlo perché ha dimostrato di essere sopra le parti. È una fortuna per tutto il Paese avere un presidente così".

E Napolitano ha avuto anche un colloquio in prefettura, di una ventina di minuti, con Zaia, all’indomani del suo insediamento. E il neogovernatore non è da meno, per attestazioni verso il Capo dello Stato: "Avere il Presidente della Repubblica dalla nostra parte è vedere il sole", dice. "Abbiamo fatto presente la nostra volontà di applicare fin da subito il federalismo fiscale spinto, come anche la nostra preoccupazione che si diano interpretazioni inesatte per cui vi sarebbe un antagonismo fra le autonomie e l’unità". E il presidente non ha mancato di esprimere la sua simpatia per i veneti.

Angelo Picariello

 

9 Aprile 2010

BOTTA E RISPOSTA

Riforme, Fini e Berlusconi

divisi dal "sistema francese"

Sulle riforme va in scena l'ennesimo scontro tra Berlusconi e Fini. Stavolta sulle riforme. Il premier va a Parigi e scopre le prime carte: "Guardiamo alla Francia, ma no al doppio turno", e già con questa presa di posizione replica ai molti - tra cui il presidente della Camera - che nei giorni recenti hanno fatto notare come la forma di governo in vigore Oltralpe non possa combinarsi con la legge elettorale - soprannominata spregiativamente "Porcellum" - con cui si è votato in Italia nelle ultime due tornate.

L'idea del Cavaliere, invece, è quella di una "elezione di presidente e Parlamento in un solo turno e nella stessa giornata", salvo discutere la proposta in Parlamento "dove verrà messa a punto la forma di Stato più appropriata per l'interesse del Paese".

Ma Fini non si arrende e replica che "non è possibile" introdurre il modello francese "con una legge elettorale proporzionale a turno unico" perché, spiega il presidente della Camera, "quel modello funziona con una legge elettorale maggioritaria a doppio turno". Ed ancora: "Con l'approccio, che mi sembra molto sloganistico, di scegliere un modello x o y rischiamo di ripetere le vicende che abbiamo già conosciuto" con le riforme varate dal centrodestra e bocciate dal referendum, ovvero di "tante chiacchiere e pochi fatti".

Secondo Fini, inoltre, la logica che deve ispirare l'approccio alle riforme è quello di guardare all'interesse generale. A chi gli chiede infatti se con il doppio turno si rischi di sfavorire il Pdl a causa dell'astensionismo, il presidente replica: "Sono valutazioni legittime, ma relative a logiche che sono logiche dei partiti, mentre le riforme dovrebbero essere fatte con un'ottica che non può essere di questa o quella parte, ma nell'interesse generale".

La posizione di Bersani. Al progetto di Berlusconi era già arrivata, secca e negativa, la risposta del segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Che prima segnala come, in tempi di federalismo, la figura del capo dello Stato "debba restare super partes". E poi ricorda come tra le priorità delle famiglie non ci sia quella della forma di governo ma la crisi e il lavoro: "Se non ce ne occupiamo un po', finisce che la politica prende una distanza abissale dalla societa"'. In ogni modo, chiude, "il cantiere delle riforme è il Parlamento e non le interviste sui giornali".

 

 

2010-04-07

7 Aprile 2010

QUIRINALE

Napolitano firma il "legittimo impedimento"

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato il disegno di legge sul legittimo impedimento del presidente del Consiglio e dei singoli ministri a comparire in processo. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato il 10 febbraio scorso, entra in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

A quanto l'agenzia di stampa Asca ha appreso in ambienti del Quirinale, punto di riferimento del capo dello Stato è rimasto il riconoscimento – già contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2004 – dell'"apprezzabile interesse" ad assicurare "il sereno svolgimento di rilevanti funzioni" istituzionali, interesse "che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali di diritto". In questo quadro la legge approvata dalle Camere il 10 marzo scorso è – secondo le fonti del Quirinale – apparsa rivolta a "tipizzare" l'impedimento legittimo disciplinato dall'art. 420-ter del Codice di procedura penale, che la legge espressamente richiama, in un contesto di leale collaborazione istituzionale tra autorità politica e autorità giudiziaria.

Le reazioni: il Pd. Pieno rispetto per la decisione del presidente Napolitano. Restano inalterati, per il Partito Democratico, tutti i motivi politici che "ci hanno fatto dire no, in Parlamento e nel Paese, alla legge sul legittimo impedimento". Ad affermarlo è Andrea Orlando, responsabile Giustizia del Partito Democratico, aggiungendo che "si tratta di un provvedimento, l'ennesimo, che prova come il governo e la maggioranza si muovano non nell'interesse degli italiani e delle istituzioni ma solo per difendere il premier dai processi". Dal canto suo, il senatore Pd Giuseppe Lumia ha detto: "È ufficiale. Per l'ennesima volta il governo e la maggioranza colpiscono a morte la giustizia italiana per consentire a Berlusconi di eludere i processi in cui è coinvolto".

Le reazioni: Italia dei valori. "Cosa fatta capo ha". È il commento del presidente dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, alla promulgazione della legge sul legittimo impedimento. "Per quanto ci riguarda – aggiunge Di Pietro – non perderemo neppure un momento a disquisire di chi sia la colpa e, soprattutto, a chi giovi questo provvedimento che riteniamo incostituzionale e immorale. Per questo, chiederemo direttamente ai cittadini, tramite referendum, come abbiamo fatto con il lodo Alfano, se sono d'accordo sul fatto che in uno stato di diritto, come riteniamo debba essere il nostro, si possa accettare che alcune persone non vengano sottoposte a processo come succede a tutti gli altri cittadini quando vengono accusati di aver commesso un reato".

Le reazioni: il Pdl. "Il presidente Napolitano si conferma un garante ineccepibile. Chi sperava di usare l'arma giudiziaria come strumento improprio per ostacolare l'attività di un governo democraticamente scelto dagli italiani è rimasto ancora una volta deluso. Quanto a Di Pietro, è ormai un disperato politico: continua a solleticare gli istinti più aggressivi di una piccola minoranza di antiberlusconiani ossessionati, inchiodando la sinistra a posizioni indifendibili e strutturalmente minoritarie e marginali. Contenti loro...". Lo ha detto Daniele Capezzone, portavoce del Pdl.

Cosa prevede il ddl. Principio cardine: per il presidente del Consiglio, chiamato a comparire in udienza in veste di imputato, costituirà legittimo impedimento "il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti". E stessa cosa varrà per i ministri. Nella norma, composta di due articoli, si indicano nel dettaglio leggi e regolamenti che disciplinano le attività del premier e dei suoi ministri e che dunque possono essere considerate legittimo impedimento. In particolare si indicano: gli articoli 5-6-12 della legge 23 agosto 1988 n. 400 e successive modificazioni; gli articoli 2,3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio del 1999 n. 303 e successive modificazioni; regolamento interno del Consiglio dei ministri di cui al decreto del presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993. Dopo l'elenco minuzioso delle norme che indicano le funzioni di premier e ministri, si spiega che saranno comunque oggetto di legittimo impedimento anche tutte quelle attività "coessenziali" alle funzioni di governo. Termine, nota l'opposizione, peraltro non presente nel vocabolario classico della lingua italiana. Il giudice, su richiesta di parte, in caso di legittimo impedimento, dovrà rinviare il processo ad altra udienza.

A certificare che esiste un impedimento "continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni", sarà la Presidenza del Consiglio. In questo caso il giudice rinvia il processo "a udienza successiva al periodo indicato che non può essere superiore a sei mesi". Il corso della prescrizione rimane sospeso per tutta la durata del rinvio, il che significa che si sospende il corso della prescrizione quando c'è "la sospensione del processo per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori o su richiesta dell'imputato o del suo difensore". In caso di sospensione (si legge sempre nell'art.159 primo comma n.3) "l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni". La prescrizione (si legge infine nel terzo comma del 159) riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.

La normativa si applica anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado alla data di entrata in vigore della legge. Il testo si applica "fino all'entrata in vigore della legge costituzionale" che dovrà contenere "la disciplina organica delle prerogative del presidente del Consiglio e dei ministri". E che dovrà anche fare riferimento alla "disciplina attuativa delle modalità di partecipazione" di premier e ministri ai processi. Comunque la sua efficacia non potrà durare più di 18 mesi dalla sua entrata in vigore, salvi i casi previsti dall'articolo 96 della Costituzione nel quale si parla della possibilità di sottoporre alla giurisdizione ordinaria il presidente del Consiglio e i ministri per reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, previa autorizzazione delle Camere di appartenenza.

L'obiettivo della norma è quello di "garantire il sereno svolgimento delle funzioni" di governo. La legge entrerà in vigore il giorno dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

7 Aprile 2010

LE PREVISIONI

Ocse, Italia in crescita dell'1,2%

Ma la ripresa è fragile

L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico stima per l'Italia una crescita trimestrale annualizzata dell'1,2% nei tre mesi a marzo, migliorando la previsione precedente di -0,3%. Nel trimestre successivo l'espansione è destinata a una brusca decelerazione secondo l'Ocse, che proietta un tasso di crescita annualizzato dello 0,5% rispetto al primo trimestre.

La dinamica di crescita delineata per l'Italia si discosta dalla media delle prime tre economie dell'area euro, influenzata quest'ultima dalle attese per la Germania dove invece, secondo l'Ocse, la crescita resterà ancora negativa nel primo quarto dell'anno (-0,4% annualizzato) per poi balzare al 2,8% nei successivi tre mesi.

Per l'Ocse la media dei primi tre Paesi dell'euro sarà di 0,9% per gennaio-marzo e di 1,9% per aprile-giugno. La crescita attesa in Francia ha un andamento simile a quello italiano, con una prevista decelerazione nel secondo trimestre, ma viaggia su ritmi più robusti con un 2,3% annualizzato nel primo trimestre e un 1,7% nel secondo.

Per il complesso dei paesi G7 le stime trimestrali annualizzate sono di 1,9% e 2,3%, rispettivamente, per i primi due trimestri dell'anno. Le cifre sono contenute in documento che rappresenta un aggioramento parziale del rapporto semestrale Economic Outlook che risale al 19 novembre. In quell'occasione l'istituto parigino prevedeva per l'Italia una crescita di 1,1% nel 2010 e di 1,5% nel 2011.

Nel documento pubblicato l'Ocse parla di una ripresa in corso per l'economia mondiale ma prevede in generale un rallentamento della crescita nella prima metà del 2010. A venire meno saranno il sostegno che deriva dal ciclo delle scorte e alcune delle misure di stimolo fiscale. Sulla domanda privata invece probabilmente peseranno una crescita del credito ancora fiacca e la debolezza dell'occupazione.

Con prospettive d'inflazione che rimangono nel complesso moderate, sebbene i segnali siano misti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è necessaria cautela da parte delle banche centrali nell'eliminare lo stimolo monetario. Per quanto riguarda invece lo stimolo fiscale, il consolidamento fiscale dovrebbe essere avviato nel 2011 o anche prima dove necessario, per poi procedere gradualmente in modo da non danneggiare la ripresa.

 

 

 

 

7 Aprile 2010

PROVE D'INTESA

Berlusconi dice sì alla Lega:

a loro la regia delle riforme

"Tutti si sono agitati, io no... Con Umberto c’è amicizia, collaborazione...". Silvio Berlusconi, passa da una telefonata all’altra e continua a rassicurare, minimizzare, escludere un caso Lega. All’altro capo del telefono però sono molti a insistere: "Presidente hai letto? La Lega chiede la regia sulle riforme. La pretende...". Il premier continua ad allontanare quelle perplessità: "La regia è già nelle mani della Lega; c’è Bossi alla guida del ministero delle Riforme...". Poi capisce che un segnale va dato e, senza cambiare il tono della voce, avverte: "...Ma sono io a tenere il timone ben saldo tra le mani; sono io il perno della coalizione".

L’ultima intervista di Roberto Maroni rischia di complicare il "faccia a faccia" tra il premier e la Lega. Perché Fini fa trapelare un crescente fastidio. Perché Italo Bocchino, vicepresidente dei deputati del Pdl e ascoltato collaboratore del presidente della Camera, parla per chiarire la linea: "È il Pdl la locomotiva avendo preso tre volte i voti della Lega...", ripete. E ancora: "In questo contesto un ruolo da pivot spetta a Fini... Solo il presidente della Camera può garantire da un lato la coesione della maggioranza e il dialogo tra la stessa e l’opposizione e dall’altro un attento ascolto delle valutazioni del Colle". È solo un elemento del disagio dei "finiani". L’altro è nei ragionamenti di Farefuturo.

"Il Carroccio fa il suo mestiere", mentre il Pdl "adesso rischia di essere trainato dal suo alleato minore...". Le repliche sono inevitabili e immediate. C’è quella di Bondi. Poi Verdini. Poi Cicchitto. "Non sappiamo in quale pianeta siano vissuti da qualche tempo a questa parte gli amici di Farefuturo se parlano di Pdl muto e sonnolento", si ribella il capogruppo del Pdl alla Camera.

È quasi sera e, aspettando il super vertice Lega-Pdl (ad Arcore c’è tutto lo stato maggiore della Lega compreso Renzo Bossi, il figlio del capo, ma ci sono anche i coordinatori del Pdl), Berlusconi mette le cose in chiaro. Il ministero dell’Agricoltura? "Sarà di Galan. Io rispetto sempre la parola". La Lega reclama Milano? "Letizia Moratti ha sbagliato a rispondere. Quella di Maroni andava presa come una battuta". Sono parole chiare, ma sbaglia chi le legge come un’offensiva anti Lega. Anzi, il vertice notturno fa emergere un asse vero Berlusconi-Bossi con il Cavaliere che chiarisce: "Capisco la Lega quando ripete che tocca a loro formulare una grande riforma della Costituzione... È corretto che sia il ministero delle Riforme a presentare una proposta".

È anche la vigilia della riunione dell’ufficio di presidenza. Un vertice per cominciare ad entrare nel dettaglio. E per rispondere a un primo, decisivo, interrogativo: presidenzialismo o premierato? Berlusconi è pronto ad ascoltare i risultati della "ricognizione" fatta da Gaetano Quagliariello. Ma, intanto si sbilancia: "L’Italia non è la Francia e forse un premier forte...". È un primo via libera al premierato? Ed è un nuovo terreno di scontro con Fini che, invece, punta tutto sul semipresidenzialismo francese? Presto tutto sarà più chiaro, ma intanto il "faccia a faccia" tra il premier e il presidente della Camera pensato per domani rischia di slittare ancora.

Arturo Celletti

 

 

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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Bocciatura di Fini: "Con gli slogan si fanno solo chiacchiere. Non si scomodi De Gaulle"

Berlusconi guarda al modello francese

Ma Bersani: "Parliamo di lavoro"

Il premier: "Semipresidenzialismo senza doppio turno". Bossi: "Ok, ma solo con federalismo"

Bocciatura di Fini: "Con gli slogan si fanno solo chiacchiere. Non si scomodi De Gaulle"

Berlusconi guarda al modello francese

Ma Bersani: "Parliamo di lavoro"

Il premier: "Semipresidenzialismo senza doppio turno". Bossi: "Ok, ma solo con federalismo"

Giorgio Napolitano

Giorgio Napolitano

VERONA - Superato l'appuntamento elettorale, il tema delle riforme torna al centro nell'agenda politica italiana. Negli ultimi giorni sono ridiventate di stretta attualità le ipotesi di modifica dell'assetto istituzionale. Ed è proprio su questo argomento che interviene Giorgio Napolitano. "Si parla da tempo di riforme istituzionali e costituzionali già mature" rileva infatti il presidente della Repubblica, che però ammonisce: "Non è serio intraprendere questo cammino a forza di anticipazioni e approssimazioni". Adesso, è l'appello del capo dello Stato, è il tempo di "proposte concrete".

IL PREMIER - L'invito del Colle, in vista anche di un nuovo possibile assetto istituzionale, anima il dibattito tra maggioranza e opposizione. "Guardiamo al semipresidenzialismo francese, ma adattandolo al nostro Paese. Pensiamo al turno unico e all'elezione nello stesso giorno di presidente e Parlamento" ha detto il premier Silvio Berlusconi da Parigi, dove ha incontrato Nicolas Sarkozy.

FINI: "SLOGAN, SOLO CHIACCHIERE" - L'ipotesi del semipresidenzialismo alla francese "adattato" all'Italia è subito impallinata dal presidente della Camera. "È impossibile perché quel modello funziona con una legge elettorale maggioritaria a doppio turno", ha detto Gianfranco Fini, per poi aggiungere: "Con gli slogan rischiamo di ripetere vicende già conosciute con le riforme del centrodestra bocciate dal referendum, ovvero tante chiacchiere e pochi fatti. Nessuno convincerà mai non me, ma il 99% dei costituzionalisti del mondo, che è possibile il modello francese con una legge elettorale proporzionale a turno unico. Se invece si pensa che in Italia sia più opportuna una legge elettorale proporzionale a turno unico, si smetta allora di parlare di modello francese. Si parli di elezione diretta del capo dello Stato, ma non si scomodi De Gaulle". Fini ha poi annunciato che con Berlusconi si vedrà la prossima settimana.

BOSSI - Alla Lega il semipresidenzialismo va bene, a patto però che ci sia il federalismo, "che è già passato", ha detto Umberto Bossi a Torino. "Si tratta solo di fare i decreti attuativi, che sono pronti ma non bisogna dirlo ancora, se no gli altri si arrabbiano, perché dicono che vogliamo fare tutto noi, e invece bisogna ascoltare anche gli altri", ha affermato il leader del Carroccio.

I DUBBI DEL PD - Sul semipresidenzialismo anche il leader del Pd, Pierluigi Bersani, frena. Occorre occuparsi di temi economici, secondo il segretario dei democratici, perché "le famiglie italiane non stanno discutendo di semipresidenzialismo alla francese, ma di lavoro". "Se mi chiedono di parlare di riforme vado ad Arcore pure a piedi a portare proposte nuove" ha ironizzato Bersani intervenendo a Parma nell'ambito della due giorni Libertà e benessere, promossa da Confindustria. "Nel momento in cui, bozza Calderoli compresa, si spinge in modo un po' confuso verso una strada federalista, - ha poi spiegato il leader Pd - mettere l'unico punto di garanzia nella contesa politica significa porre il Paese davanti un singolare interrogativo: chi lo tiene assieme? Quindi, quando si parla di presidenzialismo, di semipresidenzialismo - ha precisato il segretario dei democratici-, si tenga conto della particolare situazione italiana e del fatto che stiamo avviandoci verso un sistema a forti connotati federali". "La nostra idea - ha aggiunto Bersani - è di un governo parlamentare forte, abbiamo idee precise di riduzione del numero dei parlamentari e del superamento del bicameralismo perfetto", ha detto.

CONVERGENZE - Incontrando i rappresentanti delle categorie economiche e sociali della provincia di Verona, Napolitano ha spiegato che "ci sono punti importanti di riforma già da tempo apparsi largamente condivisi: sarebbe realistico e saggio non mettere a rischio e non tenere in sospeso quelle convergenze ma mirare a tradurle, in tempi ragionevoli, in dei corposi risultati". Per il presidente della Repubblica "si possono legittimamente sollevare, certo, altri problemi, riaprire capitoli complessi e difficili, come quelli di una radicale revisione della forma di governo, su cui negli ultimi 15 anni non si sono però delineate soluzioni adeguate e politicamente praticabili. Ma - è il monito del capo dello Stato - è bene tenere conto dell'esperienza, dei tentativi falliti, delle incertezze rivelate anche dalla discontinuità della discussione su taluni temi accantonati per molti anni".

CONCRETEZZA E REALISMO - In pratica, Napolitano consiglia di affrontare le riforme con concretezza, realismo e saggezza. Completando in primo luogo quelle già avviate. Ciò significa innanzitutto "portare avanti il processo riformatore che è in corso, e che è quello dell'attuazione del titolo V già riformato della Costituzione". "Bisogna lavorare seriamente - ha detto - al cantiere già aperto della legge delega approvata con così largo consenso per l'applicazione dell'art.119, cioè del federalismo fiscale". Con esso, ha aggiunto il capo dello Stato, va messa in relazione anche la riforma generale del fisco. Inoltre "bisogna discutere degli aggiustamenti, se si ritengono necessari della stessa articolazione del titolo V. Bisogna decidere come coronare l'evoluzione in chiave autonomistica e federalistica dello Stato italiano con la riforma di quel bicameralismo perfetto nel Parlamento della Repubblica che già da un pezzo ha fatto il suo tempo". "Non c'è, non deve e non può esserci alcuna contrapposizione - è la conclusione - tra autonomismo di ispirazione federalistica e unità nazionale. Lo dice chiaramente l'art.5 della Costituzione".

Redazione online

09 aprile 2010(ultima modifica: 10 aprile 2010)

 

 

 

L'AnALISI

La cabina c’è, la regia no

L'AnALISI

La cabina c’è, la regia no

Il ricordo di quindici anni di frustrazioni istituzionali non sta portando consiglio; né l’"autostrada" di un triennio di legislatura sembra una garanzia sufficiente che le riforme si faranno. I primi passi di una maggioranza rilegittimata dal voto regionale di fine marzo tendono ad essere confusi e non sincronizzati. Anzi, si sarebbe tentati di dire che all’ombra dei disegni di cambiamento rischiano di riproporsi veti reciproci e competizioni fra alleati; e, come risultato non voluto, un nulla di fatto. L’invito pressante di Giorgio Napolitano a far tesoro dei fallimenti del passato sul presidenzialismo arriva in una giornata segnata dalla sensazione di un approccio poco meditato; e dalla conferma di una divergenza intatta fra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini: con il Pd schierato accanto al presidente della Camera. È il segno che la cosiddetta "cabina di regìa" risulta insieme affollata e caotica; e che ritenere di modificare la Costituzione senza discutere e magari dividersi almeno su alcune regole fondamentali, potrebbe dare corpo a progetti velleitari e ad aspettative ambigue. La Lega fa capire che i primi risultati forse arriveranno già a fine anno, col Carroccio nel ruolo di "motore". Ma i messaggi contrastanti di ieri suggeriscono prudenza. Cogliendo l’occasione dell’incontro a Parigi col presidente francese Nicolas Sarkozy, Berlusconi ha abbracciato ed italianizzato il sistema francese: l’elezione del capo dello Stato e del Parlamento in un unico turno. Poche ore dopo, però, Fini ha voluto smontare l’impalcatura del premier. Ha usato parole dure sulla "differenza tra politica e propaganda"; e contro un "approccio di parte di questa o quella forza politica".

Nella maggioranza il distinguo è stato accolto come l’ennesimo scarto finiano contro Berlusconi: un atteggiamento ostile che si pensava archiviato col risultato elettorale. Ma le critiche del presidente della Camera si saldano non solo con la diffidenza di un centrosinistra incline al pessimismo. In qualche modo incrociano la determinazione di Umberto Bossi ad approdare ad una nuova Costituzione che legittimi un’Italia federalista, d’intesa con l’opposizione. Coinvolgere almeno il Pd, per la Lega è importante. Lo considera l’antidoto contro l’eventualità che le riforme siano cancellate con un referendum, se fra qualche anno vince un’altra maggioranza: è quanto successe dopo la legislatura dal 2001 al 2006 guidata dal centrodestra. Per questo Berlusconi teme che i suoi progetti siano ostacolati anche dall’interno della coalizione: nonostante la tenuta dell’asse di ferro con Bossi.

Su questo sfondo in movimento, si inseriscono i suggerimenti e gli inviti alla moderazione provenienti da Napolitano. La preoccupazione del Quirinale è che le riforme siano evocate come "una formula magica": un vessillo sventolato nell’illusione che, da solo, basti a produrre risultati. Se la magìa non riesce, il contraccolpo sarebbe quello di terremotare il sistema, senza approdare a nulla. Per questo il capo dello Stato insiste sulla necessità di dare certezze e stabilità alle istituzioni. Ed inserisce fisco, sicurezza sociale e giustizia fra le riforme da approvare insieme a quelle sulla forma del governo. Senza ostentarlo, il presidente della Repubblica offre insomma la propria "regìa", nel tentativo di accompagnare un progetto scontato solo sulla carta. La affianca a quelle rivendicate dallo stesso Berlusconi e da Bossi, alleati e insieme concorrenti nella costruzione di una possibile "Terza Repubblica".

Si tratta di una sfida che richiede determinazione, volontà di collaborazione, pazienza. E tempo. Il primo e l’ultimo elemento ci sono; gli altri due, almeno per ora, esistono solo nelle intenzioni. Il presidente del Consiglio è quasi certo del rifiuto del centrosinistra a concedergli un’apertura di credito: lo vede diviso e condizionato da Antonio Di Pietro. Dunque, al di là delle offerte formali di tregua con l’opposizione, si prepara ad affrontare il Parlamento forte soprattutto dei voti della propria coalizione. Ma sa che anche nell’alleanza potrebbe spuntare un "partito della sponda" ai suoi avversari. D’altronde, è evidente che chiunque riuscirà ad avvicinare e cucire posizioni oggi conflittuali, oltre che diverse, si candiderà di fatto a perno del sistema. E potrà mettere un’ipoteca pesante sull’epilogo della legislatura e sulla successione al Quirinale, nel 2013.

Massimo Franco

10 aprile 2010

 

 

 

 

2010-04-09

il capo dello stato: "bisogna tenere conto dell'esperienza del passato"

Napolitano sul presidenzialismo

"Riforma complessa e difficile"

Il presidente della Repubblica: "Servono proposte concrete. Le convergenze diano frutti"

il capo dello stato: "bisogna tenere conto dell'esperienza del passato"

Napolitano sul presidenzialismo

"Riforma complessa e difficile"

Il presidente della Repubblica: "Servono proposte concrete. Le convergenze diano frutti"

Giorgio Napolitano

Giorgio Napolitano

VERONA - Superato l'appuntamento elettorale, il tema delle riforme torna al centro dell'agenda politica italiana. Negli ultimi giorni sono tornate di stretta attualità le ipotesi di modifica dell'assetto istituzionale. E sull'argomento interviene anche Giorgio Napolitano. "Si parla da tempo di riforme istituzionali e costituzionali già mature" rileva il presidente della Repubblica, che però ammonisce: "Non è serio intraprendere questo cammino a forza di anticipazioni e approssimazioni". Adesso, è l'appello del capo dello Stato, è il tempo di "proposte concrete".

CONVERGENZE - Napolitano torna al tema a lui caro nel corso di un incontro con i rappresentanti delle categorie economiche e sociali della provincia di Verona. Secondo Napolitano, "ci sono punti importanti di riforma già da tempo apparsi largamente condivisi: sarebbe realistico e saggio non mettere a rischio e non tenere in sospeso quelle convergenze ma mirare a tradurle, in tempi ragionevoli, in dei corposi risultati". Per il presidente della Repubblica "si possono legittimamente sollevare, certo, altri problemi, riaprire capitoli complessi e difficili, come quelli di una radicale revisione della forma di governo, su cui negli ultimi 15 anni non si sono però delineate soluzioni adeguate e politicamente praticabili. Ma - ammonisce il capo dello Stato - è bene tenere conto dell'esperienza, dei tentativi falliti, delle incertezze rivelate anche dalla discontinuità della discussione su taluni temi accantonati per molti anni".

CONCRETEZZA E REALISMO - In pratica, Napolitano consiglia di affrontare le riforme con concretezza, realismo e saggezza. Completando in primo luogo quelle già avviate. Ciò significa innanzitutto "portare avanti il processo riformatore che è in corso, e che è quello dell'attuazione del titolo V già riformato della Costituzione". "Bisogna lavorare seriamente - dice - al cantiere già aperto della legge delega approvata con così largo consenso per l'applicazione dell'art.119, cioè del federalismo fiscale". Con esso, aggiunge il Capo dello Stato, va messa in relazione anche la riforma generale del fisco. Inoltre "bisogna discutere degli aggiustamenti, se si ritengono necessari della stessa articolazione del titolo V. Bisogna decidere come coronare l'evoluzione in chiave autonomistica e federalistica dello Stato italiano con la riforma di quel bicameralismo perfetto nel Parlamento della Repubblica che già da un pezzo ha fatto il suo tempo". "Non c'è, non deve e non può esserci alcuna contrapposizione - conclude - tra autonomismo di ispirazione federalistica e unità nazionale. Lo dice chiaramente l'art.5 della Costituzione".

Redazione online

09 aprile 2010

 

 

 

 

PERCHE’ E’ PREFERIBILE IL MODELLO FRANCESE

Presidenzialismi vari e sbagliati

PERCHE’ E’ PREFERIBILE IL MODELLO FRANCESE

Presidenzialismi vari e sbagliati

Dico presidenzialismi (al plurale) perché ne esiste più di uno, ai quali si aggiungono poi presidenzialismi fasulli inventati dall'ignoranza dei politici e dal pressappochismo crescente dei giornalisti. Per esempio molti chiamano il regime berlusconiano un "presidenzialismo". No: non c'entra per niente. Altri ritengono che un sistema è presidenziale se e quando il capo dello Stato è eletto direttamente dal popolo. Ancora no: non è così. In Irlanda, Islanda e Austria, per esempio, il capo dello Stato è eletto direttamente ma i presidenti in questione sono "di facciata" (cito il politologo francese Maurice Duverger, che se ne intende).

Il sistema presidenziale fu inventato dai costituenti americani di Filadelfia perché a loro mancava il re, mancava il monarca (e nel Settecento tutti i grandi stati erano dinastici); e per quanto successivamente adottato in tutta l'America del Sud, lì il modello degli Stati Uniti ha funzionato, di regola, maluccio. Pertanto si potrebbe dire che i presidenzialismi del Nuovo Mondo sono due; e la differenza che forse più di ogni altra ha fatto la differenza è il rispettivo sistema elettorale: maggioritario negli Stati Uniti, quasi sempre proporzionale al Sud. Non lo dico per sostenere che al presidenzialismo occorra l'uninominale, ma solo per far presente che con il presidenzialismo (e probabilmente anche con tutte le democrazie che funzionano) il sistema elettorale è parte integrante e costitutiva dell’edificio.

Se il presidenzialismo puro riesce a funzionare solo a Washington, se ne ricava che il semi-presidenzialismo di tipo francese è — nel contesto dei presidenzialismi — l'opzione di gran lunga preferibile. Se Fini ora appoggia davvero questa formula (finora era sempre restato nel vago), e se la Lega — che ha già il placet di Berlusconi — si è davvero convertita al semi- presidenzialismo (alla Bicamerale del 1997 lo votò non per convinzione ma per intralciare il gioco di D’Alema che allora puntava, immagino per sé, al premierato di tipo israeliano), questa soluzione è, ritengo, accettabile e difendibilissima. A condizione, beninteso, che non venga "ripastrocchiata" all’italiana (come si sta già cercando di fare).

Altrimenti l’altra opzione diciamo in grande (perché esiste anche l’opzione di piccole riforme di governabilità nel contesto della Costituzione esistente) è il cancellierato di tipo tedesco. Il rifacimento costituzionale è in questo caso più modesto (visto che restiamo nell'ambito di un sistema parlamentare); ma il sistema elettorale è ugualmente decisivo e dovrebbe restare così come è in Germania: proporzionale con sbarramento al 5% non aggirabile mediante alleanze elettorali truffaldine.

Anche a questo proposito sento da gran tempo ripetere che il "genio italico" non può imitare, non si deve degradare nel copiare. Stupidaggini. Il nostro Statuto Albertino del 1848 fu copiato dalla costituzione belga del 1831; e tutti i sistemi parlamentari europei dell’Ottocento furono ispirati dall’Inghilterra di allora. Se il modello tedesco ci convince, non obietto: ma deve essere tedesco, non rifatto all’amatriciana.

Al Giappone sconfitto venne imposto dagli americani un costituzionalismo di tipo parlamentare; e quando gli americani se ne sono andati, quel costituzionalismo i giapponesi se lo sono tenuto. Smettiamola di essere "geniali". Non solo non lo siamo, ma è inutile esserlo quando non occorre. Se l’ombrello è già stato inventato, occorre davvero reinventare l’ombrello all’italiana?

Finora ho richiamato due presidenzialismi veri e propri, più un semi-presidenzialismo che è tutt’altra cosa (difatti potrebbe anche essere detto "semi-parlamentarismo"), più il premierato parlamentare di tipo tedesco, il cancellierato. Resta l’elezione diretta del capo del governo (non, sia chiaro, del capo dello Stato) inventata in Israele e ivi rapidamente ripudiata dopo le due elezioni mal riuscite del 1996 e del 2001. Dunque il modello israeliano è stato sconfessato dai suoi inventori, e non è stato preso in considerazione da nessun altro Paese. Salvo che in Italia, che lo ha coccolato non solo prima che fallisse ma che continua a coccolarlo a tutt’oggi. Questo coccolamento deriva dal fatto che il grosso dei nostri legislatori, e del personale mediatico che li pappagalleggia, non afferra la differenza tra l’elezione diretta di un presidente (sistema presidenziale) e l’elezione diretta del capo del governo (in un sistema che resta pur sempre di tipo parlamentare).

Ma purtroppo il grosso degli italiani non si interessa di queste astruserie, delle riforme costituzionali, nemmeno quando sono in cantiere. Peggio per loro. Finché sarà così si meriteranno il cattivo governo e il "malservizio" dei quali si lamentano.

Giovanni Sartori

09 aprile 2010

 

 

 

 

 

Napolitano: "Facciamo che non sia una legislatura sprecata per le riforme"

Fini: "Serve un migliore equilibrio

tra ruolo del Parlamento ed esecutivo"

Il presidente della Camera: "Il modello francese?

Non può prescindere dalla legge elettorale"

Napolitano: "Facciamo che non sia una legislatura sprecata per le riforme"

Fini: "Serve un migliore equilibrio

tra ruolo del Parlamento ed esecutivo"

Il presidente della Camera: "Il modello francese?

Non può prescindere dalla legge elettorale"

Gianfranco Fini

Gianfranco Fini

MILANO - "In Italia si avverte l'esigenza di trovare un migliore equilibrio istituzionale tra il ruolo del Parlamento e quello dell'esecutivo". Gianfranco Fini sceglie il convegno di FareFuturo, "La Quinta Repubblica: un modello per l'Italia?", per il suo primo intervento pubblico dopo le elezioni del 28-29 marzo. Un incontro dedicato al tema del riforme, a proposito delle quali il presidente della Camera evidenzia come nel nostro Paese "l'urgenza" di affrontarle "continua a scontrarsi con una discussione pubblica viziata da una stanchezza culturale e da non pochi pregiudizi di carattere politico".

ESEMPIO FRANCESE - "Quello che dovremmo cercare di importare in Italia dal modello francese - auspica Fini - è la garanzia della vitalità, della lunga durata di un sistema che tenendo conto delle tradizioni e delle mutevoli esigenze della Francia ha saputo sempre riconciliare, con modalità ed effetti differenti, da un lato la rappresentanza con l'efficienza, dall'altro il parlamentarismo con la leadership". Fini sottolinea però le differenze tra la situazione italiana attuale e quella francese ai tempi della nascita della Quinta Repubblica: "Per quanto il dibattito sulla forma di governo possa ricalcare quello francese, in quello italiano mancano per fortuna quegli elementi di rottura e di minaccia dalle quali derivarono le decisioni del '58: il rapporto con l'Algeria, la fase di turbolenza che attraversava Parigi in quel momento...". Inoltre, ricorda il presidente della Camera, lo stesso "contesto in cui si inserisce una eventuale revisione della forma di governo è profondamente diverso da quello degli anni '50'-'60, quando il processo di unificazione europea era ancora agli inizi".

LEGGE ELETTORALE - In ogni caso, ci tiene a sottolineare Fini, la discussione italiana sul modello francese non può prescindere dalla riforma della "legge elettorale". "La Quinta repubblica e il semi-presidenzialismo - conclude - possono essere un modello per il nostro Paese" a patto che la discussione non sfoci in "un'adozione amputata nei suoi meccanismi di equilibrio e garanzie".

NAPOLITANO: "NON SIA UNA LEGISLATURA SPRECATA" - Sul tema delle riforme, pur senza entrare nel merito specifico, è intervenuto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano salutando il consiglio comunale di Verona: "La fine di questa legislatura - ha detto il Presidente della Repubblica - coinciderà con la fine del mio mandato al Quirinale. Facciamo che non sia una legislatura sprecata per le riforme. Discutiamo quali sono effettivamente necessarie e realizziamole".

Redazione online

08 aprile 2010(ultima modifica: 09 aprile 2010)

 

 

 

 

l'intervista - Il leader dei Democratici: al Paese servono misure immediate contro la crisi

Bersani: un incontro con il premier?

Solo per cose serie, no al chiacchiericcio

"Riforme, sì a uno stralcio su Senato federale e riduzione dei parlamentari"

l'intervista - Il leader dei Democratici: al Paese servono misure immediate contro la crisi

Bersani: un incontro con il premier?

Solo per cose serie, no al chiacchiericcio

"Riforme, sì a uno stralcio su Senato federale e riduzione dei parlamentari"

Il leader del Pd Bersani (Ap)

Il leader del Pd Bersani (Ap)

ROMA - "Innanzitutto vorrei sgombrare il campo da una versione caricaturale di alcune mie parole: io, dopo le Regionali, non ho cantato vittoria. Ho ammesso la nostra delusione e non ho mai nascosto lamia preoccupazione, che deve riguardare tutti, perché queste elezioni hanno rivelato il distacco che c’è tra la società italiana e la politica". Prima di parlare di qualsiasi argomento Pier Luigi Bersani vuole fare questa puntualizzazione. Ci tiene: "Comunque — aggiunge — è stata fatta un’analisi non veritiera: se si ha la pazienza di guardarsi i numeri, prendendo come riferimento le Europee, ci si rende conto che il Pdl perde 4 punti, che la distanza tra centrodestra e centrosinistra si è dimezzata, che solo due partiti sono andati avanti, di poco, la Lega di più ma senza compensare il calo del Pdl".

Che farà ora il Pd?

"Il Pd può riprendere il suo cammino se ha come punto di riferimento l’Italia. Il che significa che si deve partire dai temi economici e sociali. E in particolare da due questioni: primo, dall’indebolirsi del tessuto connettivo di questa nostra nazione, dove ormai rischia di vigere il si salvi chi può; secondo, dalle pessime prospettive di lavoro delle future generazioni. Il Paese sta facendo tutto il necessario per affrontare questi problemi? No, non stiamo mettendo a fuoco come priorità i temi economici e sociali e non stiamo facendo un patto nazionale per l’emergenza crisi. Ma se noi scantoniamo questo problema per affrontare mille altre pur nobili questioni il distacco tra società e politica diventerà enorme".

Le altre pur nobili questioni sarebbero le riforme istituzionali: perché non incontra Berlusconi?

"Ho già detto che se si vuole parlare di misure immediate per alleggerire i colpi di questa crisi e discutere sul serio di un pacchetto di riforme in campo economico e sociale, io vado veramente a piedi ad Arcore. Io non ho difficoltà a vedere Berlusconi, è normale che il capo del governo e quello dell’opposizione si incontrino, ma per cose serie, non per un chiacchiericcio che alimenta la confusione già esistente ".

A proposito di misure, il governo ha cancellato il suo operato e ha reintrodotto le tariffe minime.

"E’ un segnale negativo per l’Italia perché vuol dire "ognuno pensi per sé" ed è un sintomo di chiusura verso le nuove generazioni".

Ma lei quali interventi urgenti farebbe?

"Un intervento urgente si può fare a partire da due cose: investimenti locali e green economy. E poi ci vogliono un po’ di soldi in tasca subito per i redditi bassi. E da domani un confronto su riforme strutturali che riguardino economia e politiche sociali. Dopodiché, nessuna obiezione se le commissioni parlamentari si confrontano su temi istituzionali. Ma anche su questo vorrei ristabilire la verità. In questo momento sulla materia esistono un progetto di legge Finocchiaro-Zanda consegnato al Senato e uno Bressa, identico, depositato alla Camera. Quindi una bozza del Pd esiste sul serio, fondata su un forte concetto di governo parlamentare, non c’è solo la bozza Calderoli che non è nemmeno giunta in Parlamento. Tra l’altro mi pare che nella destra si debbano chiarire prima le idee tra di loro perché se ne sentono di tutti i colori. Su due cose, però, ci par di capire che sono d’accordo: Senato federale e riduzione del numero dei parlamentari. Sono proposte contenute nei nostri progetti di legge. Perciò potremmo stralciare questi punti e approvare una legge in tempi rapidi".

E il semipresidenzialismo?

"A un Paese in cui gli elementi connettivi si sono lacerati, in questa bozza viene proposto un confuso percorso federale. E noi pensiamo che di fronte a tutto questo, il punto di equilibrio possa essere un presidente frutto di una contesa politica? Questa impostazione mette in gioco la Repubblica".

L’elezione diretta del presidente c’è in Francia.

"Il sistema prospettato da Calderoli non c’entra niente con la Francia. Per carità, sostenere il semipresidenzialismo è legittimo, ma in Francia non c’è il federalismo immaginato dalla Lega. E a proposito dell’elezione diretta del capo dello Stato, vorrei dire a chi avesse interesse a farsi vestiti su misura che noi non siamo una sartoria. Se Berlusconi la pensa così si cerchi una sartoria da un’altra parte".

Fini dice: rafforzare il Parlamento, cambiare legge elettorale.

"Chi si pone in modo sensato il tema del presidenzialismo in un sistema di tipo federale deve per forza fare un elenco tale di pesi e contrappesi di cui non si fa cenno nella bozza, e non basta certo una legge elettorale. Penso che i più consapevoli di loro abbiano il tema ben presente perché in realtà non si parlerebbe di Francia ma di Usa".

Berlusconi, però, non sembra voler cambiare la legge.

"E io non voglio fare un anno di chiacchiere. Mi si dica subito se si ritiene o no che si debba cambiare la legge. Poi ci possono essere varie soluzioni per me abbordabili: i meccanismi elettorali non sono un totem".

E allora perché non parla di legge elettorale con Berlusconi?

"Con quale credibilità viene a dire "parliamo con l’opposizione", dopo 30 voti di fiducia e 50 decreti che hanno svilito il Parlamento?".

La Lega, comunque, si è intestata la mediazione con voi.

"La Lega è un partito del 12 per cento, che ha avuto un aumento e che è riuscita a prendere la presidenza di due fondamentali regioni. La Lega è alla prova di una nuova responsabilità. Noi parliamo di riforme con la maggioranza e non abbiamo problemi a parlare con chi verrà incaricato di farlo. Mi pare che in casa loro ci sia qualche perplessità ad affidare a chi ha insultato il tricolore il ruolo di portabandiera. Noi siamo sempre stati autonomisti e federalisti, ma vogliamo essere il partito della nuova unità della nazione. Noi perciò diciamo alla Lega che tutti gli italiani devono avere parità nei diritti essenziali di cittadinanza e temiamo invece che i meccanismi ipotizzati da Calderoli deroghino da questi principi. Insomma, è sicuramente apprezzabile che la Lega voglia discutere con l’opposizione ma devono convincersi che federalismo significa costruire l’unità della nazione".

Perché non appoggiate il referendum sul legittimo impedimento?

"La strategia del referendum non è la nostra strategia in queste condizioni: si è visto che non porta risultati, perché ormai non si raggiunge più il quorum, e così si rischia l’effetto boomerang. Perciò presenteremo una nuova legge sull’istituto referendario. Ciò detto, ribadisco la nostra ferma contrarietà al legittimo impedimento ".

Maria Teresa Meli

09 aprile 2010

 

 

 

 

 

Frode sui diritti tv, per Berlusconi

richiesta di rinvio a giudizio

Milano, accuse di appropriazione indebita e frode fiscale

I PM

Frode sui diritti tv, per Berlusconi

richiesta di rinvio a giudizio

Milano, accuse di appropriazione indebita e frode fiscale

L'avvocato del premier Ghedini

L'avvocato del premier Ghedini

MILANO - Pur destinato a essere subito fermato e sospeso dalla nuova legge sul "legittimo impedimento", un nuovo processo a Silvio Berlusconi inizierà a giugno: l’Ufficio dei giudici delle indagini e delle udienze preliminari del Tribunale di Milano ha infatti ricevuto ieri dalla Procura della Repubblica le 45mila pagine di atti con la richiesta di rinviare a giudizio per "appropriazione indebita" e per "frode fiscale" il presidente del Consiglio, accusato (nella compravendita Mediaset di diritti tv) di aver concorso nel 2002-2005 dalla plancia di Palazzo Chigi a svuotare di 34 milioni di euro la società quotata in Borsa di cui è azionista di maggioranza, e a frodare il fisco per 8 milioni di euro con effetti tributari sensibili ancora fino al settembre 2009.

La Procura chiede di processare per "frode fiscale" anche il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, e il vicepresidente Mediaset e presidente Rti, Pier Silvio Berlusconi, figlio di Silvio; più altre 9 persone tra le quali il produttore tv americano Farouk "Frank" Agrama. A costui nell'ottobre 2005 i pm milanesi fecero sequestrare in Svizzera 100 milioni di euro sui conti della sua Wiltshire Trading ( Hong Kong), e tuttora li detengono nel presupposto che questo denaro sia non il frutto di una colossale "cresta" fatta dal fornitore Agrama a spese delle casse del cliente Mediaset (azienda che si dichiara parte lesa da propri manager infedeli), ma il portafoglio accumulato da un Agrama "socio occulto" di Berlusconi. L’inizio dell’udienza preliminare nella quale il giudice Marina Zelante valuterà la richiesta di rinvio a giudizio, a cominciare dall’applicazione o meno della nuova legge sul "legittimo impedimento", sarà fissato non prima di metà-fine giugno, visto che per quella data la sua cancelleria risulta aver già fissato altri fascicoli pervenutile prima di questo.

Intanto, però, dopo il deposito degli atti il 22 gennaio scorso e il relativo partire dei 20 giorni procedurali a disposizione delle difese, nell’ultimo mese già sulla tempistica della richiesta di processo si è sviluppata in Procura una dialettica, anche epistolare, tra il neoprocuratore aggiunto Edmondo Bruti Liberati e i due sostituti procuratori titolari del procedimento, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro: l’uno riteneva che su questo fascicolo, tanto più in quanto aperto già da 5 anni, non potesse nuocere un’ulteriore manciata di giorni per limare e migliorare alcuni aspetti tecnici dei capi d’imputazione; gli altri paventavano che sui tempi fisiologici del procedimento si volessero far calare valutazioni di " opportunità", come ad esempio quella di far partire solo dopo le elezioni regionali la richiesta di rinvio a giudizio già pronta a metà marzo.

Nel merito dell’accusa, i pm prospettano che Agrama, Berlusconi "titolare di poteri di fatto sulla gestione di Mediaset spa", Daniele Lorenzano "uomo di fiducia di Berlusconi" per l'acquisto di diritti tv, Roberto Pace "direttore di Mediatrade fino al 2002", e Gabriella Ballabio "dirigente di Mediatrade e poi di Rti", abbiano "operato all'interno di un sistema di frode utilizzato dalla fine degli anni 80, in forza del quale i diritti di trasmissione forniti dalla Paramount, e in misura minore da altri produttori internazionali, invece che direttamente dai fornitori venivano acquistati da Mediaset a prezzi gonfiati per il tramite di società di comodo riconducibili ad Agrama". Così sarebbe maturata l’appropriazione indebita "di una parte rilevante (nel 2000-2005 complessivamente 100 milioni di dollari Usa) delle somme trasferite da Mediatrade, e dal 2003 da Rti, alla società Olympus Trading ( di Agrama, ndr) a titolo di pagamento di diritti tv". Questo denaro, la cui valutazione a fini penali è però largamente falcidiata dalla prescrizione che solo negli ultimi 8 mesi ha già mandato in fumo 40 milioni di euro in contestazione, per i pm sarebbe stato "successivamente depositato sui conti presso l'Ubs di Lugano nella disponibilità di fiduciari di Agrama, su conti aperti a nome di Pace e di Ballabio, e su altri conti in Svizzera e altrove".

Luigi Ferrarella

09 aprile 2010

 

 

 

Tra Berlusconi e Fini la pace

passa per il presidenzialismo

Nella "Yalta del centrodestra" il Cavaliere vuole per il cofondatore la "delega" sulla forma di governo

Strategie

Tra Berlusconi e Fini la pace

passa per il presidenzialismo

Nella "Yalta del centrodestra" il Cavaliere vuole per il cofondatore la "delega" sulla forma di governo

Berlusconi e Fini (Ansa)

Berlusconi e Fini (Ansa)

Dopo il successo alle Regionali si prepara la "Yalta del centrodestra". Certo, i leader di Pdl e Lega non avranno da spartirsi il mondo - come i vincitori della Seconda Guerra - ma se davvero mirano a "cambiare l’Italia" in mille giorni, devono trovare rapidamente un compromesso sulle riforme, spartendosi le aree di influenza.

Così il Cavaliere si prepara all’incontro con Fini: perché se è vero che il berlusconismo si fonda sulla "rivoluzione " del fisco e della giustizia, e se Bossi punta alla realizzazione del federalismo, resta da capire cosa intende fare l’altro "cofondatore" del Pdl con il presidenzialismo. È la domanda che Berlusconi porrà all’inquilino di Montecitorio, siccome quel sistema è sempre stato un obiettivo della destra, di cui Fini è il naturale azionista di riferimento.

Serve una "Yalta" al premier, è il metodo che ha deciso di adottare per realizzare il suo progetto e soddisfare le aspettative suscitate nel Paese. Il voto lo ha rafforzato, ma la sponda di Fini è necessaria, perciò deve capire se anche l’ex leader di An ha maturato la convinzione che una fase si è chiusa. Sciolto il nodo, chiederà al presidente della Camera di farsi "parte attiva" della stagione riformatrice, invitandolo — se crede— ad innalzare la bandiera del presidenzialismo.

Secondo il Cavaliere, Fini può farlo senza che tutto ciò confligga con il suo ruolo istituzionale e tanto meno con le sue idee. Anzi, proprio la sua veste attuale e il suo retroterra culturale garantirebbero al presidente della Camera di ritagliarsi uno spazio politico di prima grandezza, e offrirebbero maggiori probabilità di successo nella difficile sfida.

Ecco perché Berlusconi lo vuole "parte attiva", "e Gianfranco — dice Gasparri — dovrà decidere se marcare un territorio che storicamente è della destra. Sono convinto che lo farà. Anche se sorprese un po’ tutti nelle scorse settimane, quando parve prendere le distanze da Berlusconi che aveva rilanciato il tema. Bisogna capire se si trattò di prudenza istituzionale o di freddezza politica". È quanto vuole capire il Cavaliere, che ha messo da parte l’irritazione di quei giorni, ricordata al vertice del Pdl di mercoledì: "Rimasi colpito. Almeno su questo punto non pensavo si distinguesse. Ora spero che condivida il progetto e si impegni in prima persona". Si è mostrato sincero il premier, che certo non cela la propria diversità quasi antropologica da Fini. Ma il suo intento è disinnescare ogni mina di qui in avanti, perciò si propone con spirito ecumenico: "Anche perché ci sarebbe gloria per tutti".

Nella logica di una "Yalta di centrodestra ", dopo il colloquio tra i "cofondatori " è previsto l’avvio della fase successiva. Tra fine aprile e inizio maggio saranno i gruppi parlamentari di maggioranza a presentare il progetto di legge di riforma costituzionale, con annessa opzione presidenzialista. Saranno "testi aperti", spiega Cicchitto, dato che l’intento è di aprire il gioco all’opposizione: "Ma ovviamente si andrà oltre la bozza Violante—precisa il capogruppo del Pdl — nel quadro di un sistema bilanciato che contempla anche il federalismo".

Il Cavaliere è pronto. E secondo il "finiano " Bocchino "lo è anche il presidente della Camera. Lui vuole il presidenzialismo, l’otto aprile ne parlerà al convegno organizzato da FareFuturo sul sistema francese". Proprio il modello su cui sta lavorando il ministro leghista Calderoli. Insomma, l’intesa sembrerebbe— sembrerebbe—possibile, se è vero che Bocchino aggiunge: "Berlusconi dovrà far poggiare la trave del nuovo ordinamento costituzionale sui due pilastri cari alla Lega e alla destra". Il confronto con l’opposizione avverrà sul disegno di legge messo in cantiere, e che sarebbe frutto di un’operazione di ingegneria legislativa: il Pdl ha infatti recuperato dai lavori della Bicamerale guidata da D’Alema il testo su presidenzialismo e federalismo, unendolo agli articoli sulla riduzione del numero dei parlamentari e sul superamento del bicameralismo inseriti nella "bozza Violante". "Sono progetti che il centrosinistra ha già votato ", dice Bocchino: "Se cambiasse posizione, allora saremmo legittimati ad andare avanti da soli".

Ma prima di muoversi Berlusconi attende che Fini garantisca di farsi "parte attiva". "Questione non irrilevante ", a detta di Quagliariello: "Senza l’appoggio sostanziale del presidente della Camera, il progetto si arenerebbe ". Con il suo appoggio, però, muterebbe il rapporto del Pd con Fini. Chissà se è anche questo l’intento del premier. Ora però si tratta di capire quale sarà — se ci sarà — il compromesso tra i "cofondatori", perché più volte l’ex leader di An ha detto di essere "un convinto presidenzialista. Ma presidenzialismo non significa "un uomo solo al comando"...". Serve una "Yalta" a Berlusconi, che è convinto di arrivare allo stesso obiettivo comunque: per legge o per via elettiva. In fondo, con l’attuale Costituzione, già oggi il capo dello Stato assegna l’incarico di presidente del Consiglio, nomina i ministri, scioglie le Camere, sceglie parte dei membri della Corte Costituzionale, è capo delle Forze Armate, presiede il Csm, ne stabilisce l’ordine del giorno...

Francesco Verderami

03 aprile 2010(ultima modifica: 04 aprile 2010)

 

 

2010-04-07

via libera al disegno di legge approvato in via definitiva il 10 MARZO scorso

Legittimo impedimento,

Napolitano promulga il ddl

Scudo processuale di 18 mesi per il presidente del Consiglio e per i ministri. Di Pietro:ora il referendum

via libera al disegno di legge approvato in via definitiva il 10 MARZO scorso

Legittimo impedimento,

Napolitano promulga il ddl

Scudo processuale di 18 mesi per il presidente del Consiglio e per i ministri. Di Pietro:ora il referendum

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Emblema)

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Emblema)

MILANO - Sul legittimo impedimento c'è la firma di Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica ha infatti promulgato il disegno di legge che prevede lo scudo processuale di 18 mesi per il presidente del Consiglio e per i ministri. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato il 10 marzo scorso, entra in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. A quanto si apprende in ambienti del Quirinale, punto di riferimento del capo dello Stato è rimasto il riconoscimento - già contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2004 - dell'"apprezzabile interesse" ad assicurare "il sereno svolgimento di rilevanti funzioni" istituzionali, interesse "che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali di diritto". In questo quadro la legge approvata dalle Camere il 10 marzo scorso è - secondo le fonti del Colle - apparsa rivolta a "tipizzare" l'impedimento legittimo disciplinato dall'art. 420-ter del Codice di procedura penale, che la legge espressamente richiama, in un contesto di leale collaborazione istituzionale tra autorità politica e autorità giudiziaria.

"GRAZIE AL CAPO DELLO STATO" - Soddisfatti governo e maggioranza per la firma del capo dello Stato. Durante l'ufficio di presidenza del Pdl Silvio Berlusconi ha voluto ringraziare Napolitano "Ora avremo tre anni per governare in modo sereno", ha spiegato il premier secondo quanto viene riferito. "Il legittimo impedimento è un atto di giustizia e non di protervia politica" è stato il commento del ministro Gianfranco Rotondi.

BONDI E LA PROCURA DI MILANO - Sul legittimo impedimento però i pm milanesi titolari dei processi che vedono imputato Silvio Berlusconi, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, hanno concordato da tempo la linea da seguire in diversi incontri avuti con il capo della procura Manlio Minale: i magistrati sarebbero orientati a solleveranno la questione di costituzionalità di fronte alla Consulta. Una ipotesi che sembra trovare conferma nelle parole del coordinatore del Pdl Sandro Bondi, secondo il quale "la decisione della Procura di Milano manifesta sostanzialmente una proterva mancanza di rispetto nei confronti delle Istituzioni democratiche e un disperato tentativo di modificare il corso politico positivo del dopo elezioni". "Oggi il capo dello Stato con la sua firma ha riconosciuto che non vi sono evidenti segni di incostituzionalità" ha detto a tal proposito il presidente del Consiglio.

IDV SUL PIEDE DI GUERRA - Contro il legittimo impedimento insorge intanto dal canto suo Antonio Di Pietro. "Cosa fatta capo ha" ha detto a caldo il leader dell'Italia dei Valori. "Per quanto ci riguarda - ha annunciato l'ex pm - non perderemo neppure un momento a disquisire di chi sia la colpa e, soprattutto, a chi giovi questo provvedimento che riteniamo incostituzionale e immorale. Per questo, chiederemo direttamente ai cittadini, tramite referendum, come abbiamo fatto con il lodo Alfano, se sono d'accordo sul fatto che in uno stato di diritto, come riteniamo debba essere il nostro, si possa accettare che alcune persone non vengano sottoposte a processo come succede a tutti gli altri cittadini quando vengono accusati di aver commesso un reato". Il Pd esprime "pieno rispetto per la decisione del presidente Napolitano" ma, ha commentato Andrea Orlando in una nota, "restano inalterati tutti i motivi politici che ci hanno fatto dire no, in Parlamento e nel Paese, alla legge sul legittimo impedimento". "Si tratta di un provvedimento, l'ennesimo - ha sottolineato il responsabile giustizia del Pd - che prova come il governo e la maggioranza si muovano non nell`interesse degli italiani e delle istituzioni ma solo per difendere il premier dai processi". "È ufficiale. Per l'ennesima volta il governo e la maggioranza colpiscono a morte la giustizia italiana per consentire a Berlusconi di eludere i processi in cui è coinvolto" ha aggiunto il senatore del Pd Giuseppe Lumia. Per Orazio Licandro, della segreteria nazionale del Pdci - Federazione della sinistra, il legittimo impedimento "è un privilegio. La controfirma del Presidente della Repubblica non aggiunge e non toglie nulla a questo provvedimento, che rappresenta una brutta pagina di civiltà giuridica e politica per il nostro Paese" ha detto. Per il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone "Napolitano si conferma un garante ineccepibile. Chi sperava di usare l'arma giudiziaria come strumento improprio per ostacolare l'attività di un governo democraticamente scelto dagli italiani è rimasto ancora una volta deluso. Quanto a Di Pietro, è ormai un disperato politico - ha aggiunto Capezzone -: continua a solleticare gli istinti più aggressivi di una piccola minoranza di antiberlusconiani ossessionati, inchiodando la sinistra a posizioni indifendibili e strutturalmente minoritarie e marginali. Contenti loro...".

DUE ARTICOLI - Due gli articoli del provvedimento che consentirà "al presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge": l’articolo 2 riguarda il carattere di "legge ponte", cioè l’applicazione della nuova norma "fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale" e fissa inoltre l’entrata in vigore della nuova norma sul legittimo impedimento al giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il testo prevede che le attribuzioni previste dalla legge che disciplina l’attività di governo e della presidenza del Consiglio, dal regolamento interno del Consiglio dei ministri, le relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque "coessenziale" alle funzioni di governo costituiscano legittimo impedimento per il premier a comparire alle udienze penali che lo vedono imputato (non a quelle in cui è parte offesa). Stesso trattamento vale per i ministri. Sarà Palazzo Chigi ad autocertificare l’impedimento. "Ove la presidenza del Consiglio dei ministri - recita il testo - attesti che l’impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo ad udienza successiva al periodo indicato. Ciascun rinvio non può essere superiore a sei mesi". Il corso della prescrizione rimane sospeso per l’intera durata del rinvio. La legge si applica anche "ai processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, alla data della entrata in vigore della legge".

Redazione online

07 aprile 2010

 

 

 

 

A SCHEDA

Ecco lo scudo per il premier e i ministri

Legittimo impedimento: cosa prevede la nuova legge per i membri del governo che hanno procedimenti in corso

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LA SCHEDA

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MILANO - Per il presidente del Consiglio, chiamato a comparire in udienza in veste di imputato, costituirà legittimo impedimento "il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti". E stessa cosa varrà per i ministri. È questo il principio cardine del ddl promulgato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il provvedimento era stato messo a punto dal capogruppo del Pdl in commissione Giustizia di Montecitorio, Enrico Costa e dal vicepresidente del gruppo Udc Michele Vietti.

I RIFERIMENTI A LEGGI E REGOLAMENTI - Nella norma, composta di due articoli, si indicano nel dettaglio leggi e regolamenti che disciplinano le attività del premier e dei suoi ministri e che dunque possono essere considerate legittimo impedimento. In particolare si indicano: gli articoli 5-6-12 della legge 23 agosto 1988 n.400 e successive modificazioni; gli articoli 2,3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio del 1999 n.303 e successive modificazioni; regolamento interno del Consiglio dei ministri di cui al decreto del presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993.

ATTIVITÀ 'COESSENZIALI' - Dopo l'elenco minuzioso delle norme che indicano le funzioni di premier e ministri, si spiega che saranno comunque oggetto di legittimo impedimento anche tutte quelle attività "coessenziali" alle funzioni di governo. Termine, nota l'opposizione, peraltro non presente nel vocabolario classico della lingua italiana. Il giudice, su richiesta di parte, in caso di legittimo impedimento, dovrà rinviare il processo ad altra udienza.

CERTIFICAZIONE DI PALAZZO CHIGI - A certificare che esiste un impedimento "continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni", sarà la Presidenza del Consiglio. In questo caso il giudice rinvia il processo "ad udienza successiva al periodo indicato che non può essere superiore a sei mesi".

PRESCRIZIONE - Il corso della prescrizione rimane sospeso per tutta la durata del rinvio ("secondo quanto prevede l'art. 159 del codice penale primo comma n.3 e si applica il terzo comma dello stesso articolo"). Il che significa che si sospende il corso della prescrizione quando c'è "la sospensione del processo per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori o su richiesta dell'imputato o del suo difensore". In caso di sospensione (si legge sempre nell'art.159 primo comma n.3) "l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni". La prescrizione (si legge infine nel terzo comma del 159) riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.

SI APPLICA AI PROCESSI IN CORSO - La normativa si applica anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado alla data di entrata in vigore della legge.

IN ATTESA DELL'APPRODO COSTITUZIONALE - Il testo si applica "fino all'entrata in vigore della legge costituzionale" che dovrà contenere "la disciplina organica delle prerogative del presidente del Consiglio e dei ministri". E che dovrà anche fare riferimento alla "disciplina attuativa delle modalità di partecipazione" di premier e ministri ai processi. Comunque la sua efficacia non potrà durare più di 18 mesi dalla sua entrata in vigore, salvi i casi previsti dall'articolo 96 della Costituzione nel quale si parla della possibilità di sottoporre alla giurisdizione ordinaria il presidente del Consiglio e i ministri per reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, previa autorizzazione delle Camere di appartenenza.

SERENO SVOLGIMENTO FUNZIONI GOVERNO - L'obiettivo della norma è quello di "garantire il sereno svolgimento delle funzioni" di governo. La legge entrerà in vigore il giorno dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. (Fonte: Ansa)

 

10 marzo 2010(ultima modifica: 07 aprile 2010)

 

 

 

lo scudo per il premier e i ministri

Legittimo impedimento, i pm di Milano pronti a ricorrere alla Consulta

I magistrati del capoluogo lombardo orientati a sollevare eccezione di costituzionalità

lo scudo per il premier e i ministri

Legittimo impedimento, i pm di Milano pronti a ricorrere alla Consulta

I magistrati del capoluogo lombardo orientati a sollevare eccezione di costituzionalità

MILANO - Bocche cucite in Procura a Milano dopo la firma da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla legge sul legittimo impedimento del premier e dei ministri, che Silvio Berlusconi e i componenti del governo potranno invocare per non presenziare ai processi in cui sono imputati, e quindi ottenere il rinvio delle udienze. Ma i pm del capoluogo lombardo sembrerebbero orientati a sollevare eccezione di costituzionalità chiedendo che gli atti dei processi al presidente del consiglio Silvio Berlusconi siano inviati alla Corte Costituzionale per decidere se la norma contrasta con la Carta. Secondo quanto è trapelato, infatti, qualcuno al quarto piano del Palazzo di Giustizia sta già studiando in modo approfondito la nuova norma. Profili di incostituzionalità potrebbero anche essere posti all'attenzione dei collegi che stanno celebrando i due processi, quello per la compravendita dei diritti tv Mediaset e quello sulla vicenda Mills, in cui il premier Berlusconi è imputato. I pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno concordato da tempo la linea da seguire in diversi incontri avuti con il capo della procura Manlio Minale. Il canovaccio del ricorso alla Consulta sarebbe più o meno quello tracciato dal docente della Sapienza, Alessandro Pace, costituzionalista di fiducia della procura di Milano (caso Abu Omar), in un lungo articolo pubblicato da Repubblica l’8 febbraio scorso.

APPUNTAMENTO IN AULA IL 12 APRILE - Il primo appuntamento in aula è per i diritti tv di Mediaset lunedì prossimo 12 aprile quando tra l’altro il premier, secondo quanto anunciato da tempo dai suoi legali dovrebbe essere in viaggio a Washington. Berlusconi è imputato solo di frode fiscale, dopo che il falso in bilancio e l’appropriazione indebita erano stati dichairati prescritti. Il secondo appuntamento è per il 16 aprile, processo per la presunta corruzione di David Mills, quando è in programma la deposizione della consulente della procura, Gabriella Chersicla.

I MOTIVI - Diversi sarebbero i motivi di incostituzionalità alla base dell'orientamento della procura di Milano. Punto primo, il provvedimento approvato dal Parlamento omette lo specifico accertamento di fatto da parte dei giudici quando si fa istanza di legittimo impedimento che per essere accolto dove essere "assoluto". La norma prevede per reati comuni una prerogativa di cui lo stesso premier non potrebbe godere per reati eventualmente da lui compiuti nell’esercizio delle sue funzioni di governo. Poi, solo una legge di rango costituzionale e non ordinaria potrebbe prevedere una presunzione assoluta di legittimo impedimento per il premier e per i ministri. Il bilanciamento tra due poteri, la politica e la funzione giurisdizionale non può essere effettuata una volta per tutte dal legislatore ordinario facendo prevalere un potere sull’altro. E invece secondo la procura può provvedere solo il magistrato competente. Infine con la legge sul legittimo impedimento il legislatore ammette che poi bisognerà fare una legge di rango costituzionale, anticipata per adesso con una norma ponte di tipo ordinario. E ciò sarebbe incostituzionale. Nel processo in cui il premier è accusato di frode fiscale durante un colloquio voluto dai giudici con le parti, i pm avevano preannunciato ai legali di Berlusconi, che davano ormai per cosa fatta il decreto, l’eccezione di costituzionalità. Infine sta per arrivare il terzo fronte. In questi giorni i pm chiederanno il rinvio a giudizio di Berlusconi, del figlio Piersilvio, di Fedele Confalonieri e di altre 9 persone per la vicenda legata a Mediatrade, società Mediaset al 100 per cento. L’avviso di conlusione delle indagini è di metà gennaio. La richiesta di rinvio a giudizio è pronta da tempo ma era stata posticipata per ragioni di opportunità legate alla campagna elettorale. L’udienza preliminare dovrebbe essere comunque celebrata prima dell’estate davanti al giudice Marina Zelante.

Redazione online

07 aprile 2010

 

 

 

 

 

il vertice di arcore tra berlusconi e bossi

Accordo sul metodo delle riforme, accelerazione su giustizia e federalismo

L'esito del vertice tra Lega e Pdl: i leghisti prepareranno dei testi che poi saranno discussi con gli alleati

il vertice di arcore tra berlusconi e bossi

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Umberto Bossi all'uscita del vertice (Cavicchi)

Umberto Bossi all'uscita del vertice (Cavicchi)

MILANO - Un accordo sul metodo per le riforme. E' quello travato nel vertice di Arcore tra il premier Silvio Berlusconi e il leader della Lega Umberto Bossi. "È stata una riunione importante, abbiamo trovato la quadra sul metodo per fare le riforme": lo ha detto il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli al termine dell'incontro svoltosi ad Arcore. Secondo il ministro Calderoli il risultato ottenuto questa sera nel vertice di maggioranza riguarda soprattutto i tempi "rapidi" per le riforme. E, come la Lega aveva chiesto, Umberto Bossi e lo stesso Calderoli hanno la delega per le riforme che più hanno a cuore. Il metodo trovato è quello per cui i ministri competenti predispongono un testo che passa poi al tavolo dei coordinatori, per un esame preliminare, e che poi approda al consiglio dei ministri e quindi in Parlamento. "Tutto quello che c'è da fare nel campo delle riforme - ha detto Calderoli - seguirà questo percorso". Quindi riforma dello stato e del governo, riforma costituzionale, della giustizia, legge sull'intercettazioni, par condicio. "Il risultato è importante - ha concluso il ministro - perchè adesso c'è un metodo concreto e condiviso su cui lavorare in tempi rapidi".

IL PATTO - Il Carroccio, dunque, ottiene ciò che voleva: Umberto Bossi e lo stesso Calderoli avranno infatti la delega per le riforme che più hanno a cuore: quelle istituzionali. Conferma a quanto detto da Calderoli arrivano anche da esponenti del Pdl, che però chiedono di restare anonime, e che tengono a precisare come il percorso delineato parte da un presupposto: a dare l'impulso e dunque la delega ai vari ministri è il premier in quanto leader della maggioranza. Nel corso dell'incontro , Berlusconi si è soffermato sul tema delle intercettazioni, spiegando di voler stringere i tempi per definire il prima possibile il cammino del ddl ancora fermo in Senato, mettendo a punto il testo definitivo. Nel corso del vertice si è parlato anche di riforma del fisco. Un ammodernamento del sistema attuale che Berlusconi ritiene una priorità: sarà l'argomento del prossimo futuro, ha ragionato il Cavaliere, sottolineando l'importanza della riforma soprattutto per gli elettori. Tremonti a quel punto avrebbe preso la parola per dirsi disponibile a discutere la riforma ponendo coma unica condizione che a farlo siano lui e il presidente del Consiglio. Anche sul fronte della riforma istituzionale, la partita è tutta aperta. Non si sarebbe infatti indicata una forma di governo in particolare. Sul tavolo i leghisti hanno messo un memorandum con le diverse opzioni (dal semipresidenzialismo, al premierato, passando per il presidenzialismo puro). Lo studio concerneva anche la riduzione del numero dei parlamentari e l'eliminazione del bicameralismo perfetto con le possibili interazioni fra queste modifiche e la forma di governo. Il tutto sarà discusso nei passaggi successivi, sia all'interno del Pdl che con il Carroccio. Infine, per quanto concerne il nodo del rimpasto di governo, la Lega avrebbe confermato di voler rispettare il patto in base al quale al posto dell'uscente Luca Zaia subentrerà Giancarlo Galan.

Redazione online

07 aprile 2010

 

 

 

 

 

il presidente del consiglio: "aperti alla prospettiva di un ritorno deLL'UDC"

Riforme, Calderoli presenta la bozza

Il premier: pronto a vedere le opposizioni

Il ministro al Colle per consegnare il testo. Il leader Pd Bersani a Berlusconi "Ci vediamo in parlamento"

il presidente del consiglio: "aperti alla prospettiva di un ritorno deLL'UDC"

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Napolitano e Calderoli in una foto d'archivio

Napolitano e Calderoli in una foto d'archivio

ROMA - Governo e maggioranza accelerano sulle riforme. All'indomani del vertice Pdl-Lega ad Arcore, una bozza di lavoro è stata consegnata dal ministro Roberto Calderoli al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "Serve larga condivisione" ha detto il capo dello Stato a Calderoli, sottolineando di non essere entrato nel merito dei contenuti del testo presentato dal responsabile del dicastero per la Semplificazione e insistendo sulla necessità di una ampia intesa sul tema in Parlamento. Il documento è solo una base di partenza su cui i partiti della maggioranza devono ancora confrontarsi. Silvio Berlusconi ha voluto precisarlo durante l'ufficio di presidenza del Pdl a Palazzo Grazioli, confermando tuttavia che le linee guida sottoposte dal ministro del Carroccio al capo dello Stato sono frutto della riunione di martedì ad Arcore e dunque sono condivisibili. Il premier ha chiamato in causa anche l'opposizione: "È assolutamente auspicabile un incontro con i leader delle opposizioni e io sono pronto" ha detto Berlusconi, mandando inoltre un messaggio esplicito ai centristi: "Ci sono tutte le condizioni affinchè l'Udc riveda le sue posizioni politiche e noi siamo aperti alla prospettiva di un ritorno dei moderati". "Finchè c'è il Parlamento, ci incontriamo lì, quella è la sede del confronto sulle riforme tra maggioranza e opposizione" è stata la risposta del segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Il Pd attende di vedere le carte del governo sulle riforme, incalza la maggioranza e soprattutto la Lega sul Senato federale, ma non si scopre per evitare polemiche interne. "Il vertice di ieri si è concluso senza proposte leggibili e significative" ha spiegato Bersani. Che poi ha lanciato un guanto di sfida al Carroccio: "Cominciamo dai temi condivisi: Senato federale e riduzione del numero dei parlamentari".

SEMIPRESIDENZIALISMO - Per il premier "il semipresidenzialismo è il modello che appare più opportuno, però siamo assolutamente aperti a discuterne" anche con l'opposizione. Dopo il voto delle Regionali "abbiamo tre anni - ha detto -. Ci siamo detti che vogliamo fare un'agenda indicando dei tempi per ciascuna riforma ed impegnandoci a rispettarli". Berlusconi ha voluto chiarire poi che non c'è stata alcuna "voce discordante" nel corso dell'ufficio di presidenza e che "ieri con la Lega c'è stata una condivisione assoluta". Nella riunione a Palazzo Grazioli, il presidente del Consiglio infatti non ha sconfessato i contenuti della bozza, puntualizzando tuttavia che con la consegna di una prima bozza al Colle il ministro leghista ha affrettato i tempi.

Il premier Silvio Berlusconi (Ansa)

Il premier Silvio Berlusconi (Ansa)

FISCO - La riforma del fisco non sarà fatta entro l'anno, ha spiegato il Cavaliere: "Non l'ho mai detto" ha chiarito, perché "deve sposarsi con il federalismo fiscale. Dobbiamo continuare sulla linea del rigore". "Nel nostro dna c'è la riduzione della pressione fiscale e delle imposte" ha aggiunto Berlusconi indicando la necessità di "ridurre la spesa pubblica", e di "cancellare dei privilegi" per questo - ha spiegato - "abbiamo iniziato un'azione di contrasto nei confronti dei falsi invalidi con l'obiettivo di ottenere dei risparmi". Quanto a Gianfranco Fini, il premier ha fatto sapere di non averlo sentito: " Stamattina Ignazio La Russa ha parlato con lui, noi ci siamo dati appuntamento al mio rientro dopo gli incontri internazionali. prima Parigi e poi a Washington" ha tagliato corto Berlusconi.

GIUSTIZIA - E un'altra importante riforma da portare a compimento è quella della giustizia. "Lavoreremo ad un progetto che non avrà nessun carattere punitivo nei confronti di nessuno" ha detto Berlusconi, negando che vi sia un progetto che prevede di sottoporre alle direttive dell'esecutivo la magistratura inquirente: "È un'ipotesi che quando è stata evocata, come ipotesi di scuola, è stata negata all'unanimità da tutti, da me per primo".

AGRICOLTURA - Nel corso dell'ufficio di presidenza del Pdl, il premier ha ribadito inoltre che Giancarlo Galan diventerà ministro dell'Agricolura, sostituendo Luca Zaia. "Per il momento non c'è l'esigenza di un rimpasto da parte di nessuna forza politica" ha voluto però precisare il presidente del Consiglio. "Abbiamo invece posto il problema - ha aggiunto - dei sottosegretari che sono ancora troppo pochi mentre c'è un intenso lavoro da fare". Tra le riforme da fare, secondo il Cavaliere, c'è anche quella della par condicio.

"L'OPPOSIZIONE NON SI DEFILI" - Il Popolo della Libertà spera ora che "l'opposizione non si defili dalla responsabilità di contribuire a scrivere le regole fondamentali delle istituzioni in un dibattito costruttivo con la maggioranza di governo, senza imporre condizioni pregiudiziali all'avvio del confronto stesso". È quanto si legge nella relazione del coordinatore Sandro Bondi che ha aperto i lavori a Palazzo Grazioli e che è stata ampiamente condivisa dal premier. "Non ci siamo mai sottratti al confronto sulle riforme istituzionali e da tempo abbiamo presentato le nostre proposte. Ma quali sono quelle del centrodestra?" chiede la Pd Rosi Bindi. "Le riforme si fanno in Parlamento, ma finora non vi è alcuna proposta su cui discutere ma solo chiacchiericcio" ha detto Massimo D'Alema. Apre al dialogo sulle riforme il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, ma a condizione che si parta da quelle economico-sociali, e purché quelle istituzionali non siano "un abito cucito su misura su Berlusconi".

"AL PREMIER LA CABINA DI REGIA" - "Aspettiamo le riforme da tanto tempo e ora finalmente abbiamo la vera opportunità" di farle, ha affermato Ignazio La Russa ai microfoni del Tg3. Alla domanda se la cabina di regia delle riforme sia nelle mani del premier, di Bossi o Fini, il coordinatore del Pdl ha risposto senza esitare. "Non può che essere nelle mani del presidente del Consiglio se decidiamo, come abbiamo deciso, che le proposte vengano dal governo. Ce lo ha chiesto anche l'opposizione". Quanto ai rapporti tra Pdl e Lega, la Russa ha voluto sottolineare che anche alla luce del risultato delle regionali il governo non è a trazione leghista. "Il governo - ha ricordato il ministro della Difesa - ha avuto grandi successi da Roma in giù, dove la Lega non c'è". "Non dimentichiamo - ha sottolineato - che governiamo le Regioni più importanti del Sud e siamo la stragrande maggioranza in quasi tutte le Regioni del Nord, con la sola eccezione del Veneto, dove abbiamo voluto offrire alla Lega la possibilità di guidare la Regione con un candidato che era ministro di Berlusconi". Quanto al rischio che con un aumento del potere della Lega si crei una secessione di fatto, La Russa ha risposto: "Io non ho mai visto in Italia un forte sentimento di identità nazionale come in questi ultimi anni".

Redazione online

07 aprile 2010

 

 

 

 

 

 

REPUBBLICA

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http://www.repubblica.it

2010-04-09

Il capo dello Stato in un discorso a braccio a Verona, chiede che si accelerino i tempi della riforma

"Fisco, sicurezza sociale, ricerca e giustizia sono gli strumenti per uscire dalla crisi"

Riforme, monito di Napolitano

"Basta con le approssimazioni"

"Attenti a riaprire il capitolo della forma di governo"

"Basta con la politica urlata, serve senso della misura"

Riforme, monito di Napolitano "Basta con le approssimazioni"

VERONA - "E' augurabile che si esca al più presto da anticipazioni e approssimazioni che non si sa quali sbocchi concreti, quali proposte impegnative, a quali confronti costruttivi possano condurre". E' severo il monito del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in un discorso a braccio a Verona. Parla di riforme, il presidente. Quelle che da tempo chiede e che più volte ha invitato a fare e che mai sono state fatte. Ieri aveva chiesto di "non sprecare questa legislatura", oggi non si nasconde dietro alle parole e rilancia.

Non è più tempi di annunci, scandisce il capo dello Stato . Che vede in "una serie di riforme non più procrastinabili" fra le quali quelle del fisco, della sicurezza sociale, della ricerca, gli strumenti per uscire dalla crisi che stringe il Paese. Queste sono le priorità, fa capire il presidente. Compresa la giustizia. Per assicurare "la certezza del diritto che è, tra l'altro, un interesse vitale per le imprese e per la capacità del nostro paese di attrarre investimenti"

Davanti ad ipotesi di cambiamento della forma di governo, presidenzialismo e premierato in primis, Napolitano si mostra invece tiepido: "Si possono legittimamente sollevare, certo, altri problemi, riaprire capitoli complessi e difficili, come quelli di una radicale revisione della forma di governo, su cui negli ultimi 15 anni non si sono però delineate soluzioni adeguate e politicamente praticabili. Ma è bene tenere conto dell'esperienza, dei tentativi falliti, delle incertezze rivelate anche dalla discontinuità della discussione su taluni temi accantonati per molti anni". Cautela anche sul federalismo. Che va fatto ma combattendo "chiusure ed egoismi nelle regioni piu' sviluppate", rispettando il principio di solidarieta' e chiamando il Sud "alla prova della responsabilita'''.

 

Infine l'ennesimo appello ad abbassare i toni della lotta politica: "Quella urlata forse può portare voti ma fa danni al Paese". Napolitano Chiede più "senso della misura" e più "senso delle proporzioni": "Siamo in una fase nella quale sembrano contare solo i giudizi estremi, che magari rendono in termini elettorali, ma che fanno danni". Napolitano, sottolinea con forza quello che si è dato come compito per il settennato: "Garantire la maggiore stabilità politico-istituzionale possibile non significa nè immobilismo nè negazione della dialettica tra maggioranza e opposizione". Senza alcun estremismo, "è possibile scontrarsi in campagna elettorale e vorrei dire scontrarsi con misura, anche se talvolta i miei appelli sono apparsi utopistici".

Immediata la replica di Antonio Di Pietro che più di una volta ha criticato le scelte di Napolitano. Anche stavolta i toni non sono morbidi: "Bisognava, piuttosto, dare poco spazio a riforme 'ad personam' della Costituzione e magari inviare un messaggio alle Camere sulla crisi" dice a Youdem tv, il leader dell'Idv.

(09 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

 

Scheda: le varie forme istituzionali. Poteri, contropoteri e sistemi elettorali

Dal parlamentarismo al presidenzialismo

Ecco come funziona in tutto il mondo

ROMA - Presidenzialismo, semipresidenzialismo, cancellierato. Il dibattito sulle riforme istituzionali riporta in primo piano formule che corrispondono ai sistemi vigenti in altri paesi europei e non. In questa scheda una rapida panoramica di cosa c'è dietro a queste parole spesso un po' criptiche. A partire da una rapida considerazione su come funziona attualmente in Italia.

All'italiana: parlamentarismo. Da noi, infatti, vige un sistema parlamentare nel quale, cioé, il presidente del Consiglio, incaricato dal Capo dello Stato, riceve l'appoggio della maggioranza del Parlamento (formato da due Camere) e governa forte di questo appoggio. Il premier ha poteri esecutivi ma i suoi poteri sono limitati da quelli, particolarmente rilevanti, del Parlamento che fa le leggi. Il capo dello Stato ha funzioni di garanzia, rappresenta lo Stato, nomina il premier e promulga le leggi. Il centrodestra (ma ormai anche il centrosinistra) vorrebbe rafforzare i poteri dell'esecutivo affidando un ruolo esecutivo a un presidente della Repubblica o a un premier eletto direttamente cui deriverebbe la forza dell'investitura popolare. Di sicuro, come ha fatto notare Fini, un sistema diverso dall'attuale non può però prescindere da un'attenta ricognizione del funzionamento attuale e dalla costruzione di un equilibrio diverso attraverso una serie di correzioni. Dovunque, infatti vigono sistemi presidenziali o "semi" con poteri forti all'esecutivo, ci sono importanti contrappesi (basti pensare agli Stati Uniti) che limitano il raggio d'azione del presidente. E non è neppure ininfluente il sistema elettorale. Dicerto il nostro "Porcellum", proporzionale con premio di maggioranza per garantire la governabilità sarebbe inadatto a un semipresidenzialismo che si basa sempre su un maggioritario. In Francia, anche col doppio turno.

 

Alla francese: il semipresidenzialismo. Il presidente della repubblica viene eletto direttamente dal popolo ogni 5 anni (al massimo 2 mandati consecutivi). Il presidente è capo del governo, può convocare le elezioni in qualunque momento, revocare i ministri ed ha autorità esclusiva sulla politica estera. L'esecutivo ha però anche un primo ministro nominato dal presidente e quasi privo di autonomia. Con la riforma del 2003 si evitano le paralizzanti 'coabitazioni' frequenti in passato fra presidente e premier di diverso segno politico. Adesso le elezioni parlamentari si tengono anch'esse ogni 5 anni, subito dopo quelle presidenziali, con altissima probabilità quindi che il capo dello stato si trovi a guidare un governo dello stesso colore. In questo quadro, il premier segue le indicazioni del presidente della repubblica anche per gli affari interni.

Alla tedesca: il cancellierato. Nel sistema tedesco il presidente della repubblica, eletto dal parlamento, è una carica di garanzia, come oggi in Italia, che assicura l'equilibrio dei poteri e promulga le leggi. La Germania è una federazione di stati (lender) con forte autonomia locale. Il governo federale o centrale è guidato da un cancelliere (primo ministro), cioè il leader del partito che vince le elezioni. Tecnicamente tuttavia il cancelliere è proposto dal presidente al parlamento appena eletto, ed è votato dai deputati. Il cancelliere per costituzione indirizza l'azione di governo, "fissa le direttive politiche generali e ne assume la responsabilità". In Germania è il presidente che scioglie il parlamento e indice nuove elezioni, solo se il cancelliere non ha più la fiducia parlamentare. Esiste però l'istituto della 'sfiducia costruttiva': il parlamento sfiducia un premier e può eleggerne contemporaneamente un altro.

Alla spagnola: La Spagna è una monarchia costituzionale: il re ha grosso modo le stesse prerogative istituzionali del presidente della Repubblica italiana. Il presidente del governo (premier) ha un ruolo simile a quello che riveste attualmente il presidente del consiglio dei ministri in Italia: in teoria può anche sciogliere le camere, previa però una deliberazione del consiglio dei ministri e "sotto sua esclusiva responsabilità". Il re deve però ratificare con decreto questa decisione. La costituzione in ogni caso prevede anche la possibilità di mozioni di sfiducia 'costruttiva' delle camere al governo, come in Germania.

Alla inglese: il primo ministro 'forte'. Nel regno britannico il capo dello stato è il re (o, attualmente, la regina). Il primo ministro ha poteri molto vasti. Diventa automaticamente primo ministro il leader del partito di maggioranza in parlamento (anche se 'eredita' la carica da un dimissionario). Il premier ha il potere di convocare le elezioni in qualunque momento nell'ultimo dei suoi 5 anni di mandato e di revocare i suoi ministri.

All'americana: il presidenzialismo "puro". Il presidente degli Stati Uniti d'America guida il governo federale. Sceglie i suoi ministri (che possono però non essere accettati dal parlamento). Può revocare i ministri e firma lui stesso le leggi approvate dal parlamento. Ha quindi poteri amplissimi, bilanciati però dal fatto che il suo mandato è di soli 4 anni, rinnovabile solo una volta, e che le elezioni parlamentari rinnovano interamente la camera dei deputati ogni 4 anni, a metà del mandato presidenziale: il popolo scontento può quindi votare un parlamento di segno diverso dal capo dello Stato.

(08 aprile 2010)

 

 

 

Il falso mito del risultato elettorale

già scritto. Ma solo dopo

Il falso mito del risultato elettorale già scritto. Ma solo dopo

Da sinistra, Tremonti, Cota e Bossi

Oggi che le classi sociali hanno perso visibilità e forse sono perfino scomparse, confuse in mezzo a una moltitudine di individui. E le ideologie sembrano ridotte a leggende perdute nel tempo. Oggi, in politica, si evocano altre definizioni. Meno suggestive, meno epiche, ma comunque eloquenti. Capaci di spezzare. Distinguere. Stigmatizzare. Dividere il mondo. Per esempio: gli aristocratici e il popolo. Con tre p. Oppure la gente. Con quattro g. I radical chic e i radical choc. La sinistra dei salotti e la destra delle partite IVA e delle piccole imprese. Quelli che parlano di cultura tra Uomini di Cultura - rigorosamente con le iniziali maiuscole - e quelli che parlano dei problemi di tutti i giorni nella vita di tutti i giorni con le persone comuni. Quelli dell'Alta Finanza e quelli che hanno i calli alle mani. Insomma: definizioni di senso comune dette in modo diretto. Capaci di tracciare confini chiari e netti. Per riprodurre la distanza fra Noi e Loro. Amici e nemici. Senza possibilità di dialogo, ma che dico?, di sguardo reciproco. Ciascuno per la sua strada, dalla sua parte della strada. Senza neppure pensare di attraversarla.

Così, i "populisti" - orgogliosi di essere tali, dalla parte del popolo, di quelli che faticano e si sporcano le mani - guardano gli "elitisti" e gli aristocratici da lontano. Come animali rari. La destra popolare e la sinistra impopolare. Condannata - e rassegnata - a perdere le elezioni. Tutte le elezioni. Sempre. Senza speranza. E viceversa. Gli aristocratici, chiusi nei loro salotti e nei loro circoli culturali, tra loro, lontano dal vociare del popolo minuto. Il ventre di questa società imbarbarita dal benessere e dalla televisione. Che la sinistra aristocratica osserva con malcelata insofferenza. Così tutto pare congelato. Vincitori e vinti predestinati, in competizioni elettorali non competitive. Dall'esito scontato.

 

Non c'è luce, in questo scenario senza luce. In questa rappresentazione ideologica. Tanto ideologica, però, da occultare la realtà. Fino a negarla. Come spiegare, altrimenti, comportamenti ed esiti elettorali tanto diversi in poco tempo? Nello stesso giorno? La sinistra sconfitta nel 1994 vittoriosa nel 1996; di nuovo sconfitta nel 2001 e poi di nuovo vittoriosa, in tutte le elezioni successive, fino al 2006. Per poi subire l'insuccesso nel 2008 e le battute d'arresto successive. E, dall'altra parte, come spiegare le vicende altalenanti di Berlusconi, One Man Show. Che, dopo il 1994, solo "insieme" alla Lega. Nel 2000, nel 2001, nel 2008. E solo "grazie" alla Lega, alle regionali di 10 giorni fa. La Lega, per sua parte, oggi appare invincibile. Eppure ha perso tante volte, da quando è sorta. È cresciuta e poi si è ristretta. Dall'8% nel 1992 al 10% nel 1996: 3-4 milioni di voti. Poi è crollata negli anni seguenti.. Ha tenuto a fatica il 4%. Per poi risalire, dopo il 2006. Fino a raggiungere e sfondare, negli ultimi 3 anni, la barriera del 10%. Senza però produrre la valanga di voti degli anni Novanta.

E come spiegare, con la teoria del Popolo con tre p, lontano dalle èlite, che quel popolo, lo stesso popolo, lo stesso giorno, il 28 marzo scorso, ha votato diversamente, molto diversamente, per la Regione e il Municipio? A Venezia e a Lecco, per esempio: i voti leghisti, alle regionali, si sono tradotti in sostegno ai sindaci di centrosinistra.

Perché, ha suggerito qualcuno, le città sono radical chic. Affollate di borghesi e intellettuali da salotti. Ma, allora, Verona? Governata dalla Lega? Dubitiamo che, se si fosse votato per il Comune, due settimane fa, i cittadini avrebbero votato diversamente.

I benpensanti e i malpensanti, i salotti e le partite IVA, la società civile e la società reale. Queste definizioni dirette, per quanto suggestive e di senso comune, sono molto più ideologiche delle vecchie ideologie. Aiutano a coltivare l'etica dell'irresponsabilità. Non spiegano ma rassicurano. Non aiutano a distinguere, ma soddisfano gli istinti. Sono autoconsolatorie. Ti convincono che se perdi non è colpa tua. Ma della gente. Del popolo. Oppure degli intellettuali, dei poteri forti. Del destino cinico e baro. Storie già scritte, dove la politica e gli uomini non contano. Storie senza pathos e senza epica. Troppo scontate per essere vere. Sono attraenti e insidiose. Soprattutto per chi ha perso.

(08 aprile 2010)

 

 

 

 

 

Indagine sui diritti tv: depositata la richiesta della procura di Milano

Al premier vengono contestati i reati di frode fiscale e appropriazione indebita

Inchiesta Mediatrade, i pm

"Berlusconi va processato"

di WALTER GALBIATI e ELSA VINCI

Inchiesta Mediatrade, i pm "Berlusconi va processato"

MILANO - Richiesta di rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi a Milano. Il pm Fabio De Pasquale ha inviato al procuratore aggiunto Bruti Liberati la richiesta per la vicenda Mediatrade. L'inchiesta, secondo l'accusa, riguarda i diritti televisivi "gonfiati". Bruti Liberati avrebbe "vistato" la richiesta di rinvio a giudizio due giorni fa. A Berlusconi i pm contestano frode fiscale fino al settembre 2009 e appropriazione indebita fino al 2006. Le indagini sono state chiuse a gennaio e la procura aveva fatto slittare la richiesta di rinvio per ragioni di opportunità legate alla recente campagna elettorale. L'udienza preliminare in cui il gup Marina Zelante valuterà la richiesta di processo dovrebbe essere fissata prima dell'estate. La difesa del premier chiederà di applicare la norma sul legittimo impedimento che permetterà a Berlusconi di rinviare il processo per diciotto mesi. Questo in attesa che il lodo Alfano - lo "scudo istituzionale" - venga approvato secondo quanto previsto dalla costituzione. L'inchiesta vede tra i dodici indagati anche il figlio del premier Pier Silvio, il presidente Mediaset Fedele Confalonieri.

Sull'altro processo che lo vede coinvolto a Milano, relativo ai diritti tv di Mediaset, i legali di Silvio Berlusconi hanno presentato ieri un'istanza in cui sostengono il legittimo impedimento del presidente del consiglio a partecipare alla prossima udienza di lunedì. Sino a 14 aprile Berlusconi sarà negli Usa per un vertice sulla sicurezza nucleare. Da Milano a Roma. La procura di Roma trasmette al tribunale dei ministri gli atti dell'inchiesta avviata a Trani sulle pressioni del premier per affondare la trasmissione Annozero di Michele Santoro. La richiesta è di svolgere l'istruttoria. Confermato l'impianto accusatorio, dopo la lettura di circa mille pagine le ipotesi di reato restano di concussione e minacce. La procura di Giovanni Ferrara ha chiesto al tribunale dei ministri la trascrizione integrale di 18 telefonate che sono state intercettate dagli investigatori di Trani. A piazzale Clodio sono arrivati solo alcuni brogliacci, ritenuti insufficienti per approfondire i fatti contestati.

 

A far scoppiare il caso furono le pressioni subite dal commissario dell'Autorità per le comunicazioni, Giancarlo Innocenzi. Il pm vuole conoscere l'esatto contenuto delle conversazioni che Silvio Berlusconi ha avuto con lui e altri sino al 28 dicembre scorso. La procura chiede al tribunale inquirente di interrogare quindici persone. Tutte menzionate nelle conversazioni intercettate. Il presidente dell'Agcom, Corrado Calabrò, compare nell'inchiesta come parte lesa, così come il commissario Giancarlo Innocenzi, e il direttore generale della Rai, Mauro Masi. Anche loro dovranno essere ascoltati. Tra i testi citati dalla procura non figura Michele Santoro. Infine il pm sollecita l'acquisizione di una serie di documenti, delibere e risoluzioni, presso l'Autorità per le garanzie e la sede Rai. Il tribunale dei ministri ha tre mesi di tempo per concludere l'istruttoria. Tuttavia il termine non è perentorio. Finite le indagini, gli atti torneranno alla procura di Roma che dovrà formulare le sue conclusioni: richiesta di archiviazione oppure di rinvio a giudizio.

© Riproduzione riservata (09 aprile 2010)

 

 

2010-04-07

Il provvedimento, approvato dal Senato il 10 marzo, entra in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale

Da ora stop di 18 mesi ai processi che riguardano ministri e presidente del Consiglio per esigenze di governo

Via libera al legittimo impedimento

Napolitano ha firmato la legge

Il presidente:"Ora ci sia leale collaborazione tra l'autorità politica e quella giudiziaria"

Di Pietro:"Chiederemo direttamente ai cittadini, tramite referendum, se sono d'accordo con la legge"

Via libera al legittimo impedimento Napolitano ha firmato la legge

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

ROMA - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato il disegno di legge sul legittimo impedimento del presidente del Consiglio e dei singoli ministri a comparire in processo. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato il 10 febbraio scorso, entra in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Dopo la firma, dall'inquilino del Colle è arrivato un appello a una leale collaborazione tra l'autorità politica e giudiziaria.

A quanto si è appreso infatti punto di riferimento del Presidente della Repubblica nel promulgare, dopo approfondito esame, la legge recante "disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza", è rimasto il riconoscimento - già contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2004 - dell'"apprezzabile interesse" ad assicurare "il sereno svolgimento di rilevanti funzioni" istituzionali, interesse "che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali di diritto". In questo quadro la legge approvata dalle Camere il 10 marzo scorso - secondo gli ambienti del Quirinale - è apparsa rivolta a "tipizzare" l'impedimento legittimo disciplinato dall'art. 420-ter del Codice di procedura penale, che la legge espressamente richiama, in un contesto di leale collaborazione istituzionale tra autorità politica e autorità giudiziaria.

L'iter della legge. Il 10 marzo c'era stato il via libera del Senato. Dopo due voti di fiducia, l'ok definitivo aveva registrato 169 favorevoli, 126 contrari e 3 astenuti. Era così diventata legge lo "scudo" che permette al presidente del Consiglio e ai ministri di sottrarsi alle convocazioni in sede giudiziaria, privilegiando gli impegni governativi "autocertificati". Il ddl era stato approvato alla Camera lo scorso 3 febbraio. Principio cardine: per il presidente del Consiglio, chiamato a comparire in udienza in veste di imputato, costituirà legittimo impedimento "il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti". E stessa cosa varrà per i ministri.

 

La legge salva infatti il premier e i ministri dai processi per 18 mesi, in attesa dell'approvazione di un nuovo lodo Alfano stavolta per via costituzionale. Due articoli consentiranno "al presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge": l'articolo 2 riguarda appunto il carattere di 'legge ponte', cioè l'applicazione della nuova norma "fino alla data di entrata in vigore della legge costituzionale" e fissa inoltre l'entrata in vigore della nuova norma sul legittimo impedimento al giorno successivo alla pubblicazione in gazzetta ufficiale.

Il testo prevede che le attribuzioni previste dalla legge che disciplina l'attività di governo e della presidenza del Consiglio, dal regolamento interno del consiglio dei ministri, le relative attività preparatorie e consequenziali, nonché di ogni attività comunque "coessenziale" alle funzioni di governo costituiscano legittimo impedimento per il premier a comparire alle udienze penali che lo vedono imputato (non a quelle in cui è parte offesa). Stesso trattamento vale per i ministri.

Sarà Palazzo Chigi ad autocertificare l'impedimento. "Ove la presidenza del consiglio dei ministri - recita il testo - attesti che l'impedimento è continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo ad udienza successiva al periodo indicato. Ciascun rinvio non può essere superiore a sei mesi". Il corso della prescrizione rimane sospeso per l'intera durata del rinvio. La legge si applica anche "ai processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, alla data della entrata in vigore della legge".

Di Pietro: "Ora referendum". Antonio Di Pietro non ha attaccato Napolitano dopo la decisione. "Cosa fatta capo ha", ha commentato in una nota il leader dell'Idv, annunciando il ricorso al referendum. "Per quanto ci riguarda non perderemo neppure un momento a disquisire di chi sia la colpa e, soprattutto, a chi giovi questo provvedimento che riteniamo incostituzionale e immorale. Per questo, chiederemo direttamente ai cittadini, tramite referendum, come abbiamo fatto con il lodo Alfano, se sono d'accordo sul fatto che in uno stato di diritto, come riteniamo debba essere il nostro, si possa accettare che alcune persone non vengano sottoposte a processo come succede a tutti gli altri cittadini quando vengono accusati di aver commesso un reato".

(07 aprile 2010)

 

 

 

 

Il ministro al Quirinale con una bozza del progetto al quale lavorano Lega e Pdl

Il premier: "Siamo per il semipresidenzialismo ma aperti al confronto

Riforme, Calderoli vede Napolitano

E Berlusconi apre all'opposizione

Napolitano: "Serve larga condivisione"

Bersani: "Subito il Senato federale"

Riforme, Calderoli vede Napolitano E Berlusconi apre all'opposizione

Pierluigi Bersani

ROMA - Parte dalla Lega l'accelerazione sulle riforme costituzionali. Dopo l'incontro di ieri ad Arcore, il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, va al Quirinale e consegna al presidente della Repubblica una prima bozza con i cardini della riforma della maggioranza. "Sia chiaro la cabina di regia è in mano a Berlusconi" dice Ignazio La Russa provando a stoppare l'intenzione del Carroccio di prendere in mano la partita. Già dal vertice di ieri sarebbe uscita un'intesa sul semipresidenzialismo, sulla riduzione del numero dei parlamentari, sul nuovo meccanismo per l'elezione dei membri della consulta e sulla fine del bicameralismo perfetto con la creazione del Senato federale: le linee guida che Calderoli ha illustrato a Napolitano. Quest'ultimo ha "la necessità e le possibilità di ricerca della più larga condivisione in Parlamento". Berlusconi apre alla maggioranza e si dice disponibile al confronto auspicando un incontro con i leader. Replica il segretario del Pd, Pierluigi Bersani: "Finché c'è il Parlamento, ci incontriamo lì, la sede del confronto è quella.

"Berlusconi: Semipresidenzialismo, ma discutiamone". "Il semipresidenzialismo è il modello che ci appare come il più opportuno",dice Silvio Berlusconi in serata, al termine dell'ufficio di presidenza del Pdl. Ma si dice disponibile a discuterne con l'opposizone, "siamo assolutamente aperti al confronto". Auspica quindi "che ci possano essere incontri con i leader dell'opposizione" perché "il nostro atteggiamento su tutte le riforme è di assoluta e totale apertura a chi volesse aggiugersi a noi con idee e suggerimenti affinchè le riforme siano le migliori possibili nell'interesse del paese". E annuncia che la prossima settimana vedrà Gianfranco Fini. Quella presentata al Quirinale da Calderoli, precisa Berlusconi, è solo una "prima bozza" del progetto al quale Pdl e Lega stanno lavorando. Non un testo definitivo, visto che il dibattito dovrà proseguire tra le forze politiche e che è stata però portata all'attenzione del presidente della Repubblica "per coinvolgerlo in questa discussione visto che più volte ci ha invitato a riforme condivise".

 

La bozza del progetto. Secondo quanto riferito da chi ha potuto vederle, la forma di governo dovrebbe virare verso un semipresidenzialismo "corretto" alla francese. Scompare il bicameralismo perfetto e arriva il Senato federale, portandosi assieme la riduzione del numero dei parlamentari. Per gli attuali senatori a vita, ci sarebbe invece il passaggio a 'deputati a vita': carica che però dovrebbe spettare solo ai presidenti emeriti, che durante il loro mandato non avrebbero più il potere di nominare altri membri a vita del parlamento. Cambia anche il meccanismo di nomina dei membri della Corte Costituzionale: il 'nuovo' presidente, con i poteri rafforzati, perderebbe il potere di indicare un terzo dei componenti, che a quel punto sarebbero indicati - sempre per un terzo - dai presidenti delle Camere. Gli altri due terzi resterebbero di competenza per metà del parlamento in seduta comune, per l'altra metà delle supreme magistrature.

Il dibattito nel Pdl. In corso a Palazzo Grazioli l'ufficio di Presidenza del Pdl. Sul tavolo i risultati delle elezioni regionali e le riforme costituzionali. Berlusconi dovrebbe arrivare a Roma un'ora prima dell'inizio della riunione del Pdl e non è escluso che prima incontri il presidente della Camera Gianfranco Fini. Nonostante le rassicurazioni dello stato maggiore del Pdl, qualche timore resta. Non a caso Gennaro Malgieri, sul sito di GenerazioneItalia ammette: "Il Pdl si è fatta contagiare da un federalismo 'estremo'". Bocchino, però, getta acqua sul fuoco: "Dalla Lega io non vedo nessun pericolo".

Bersani: "Meno parlamentari e Senato federale". Il segretario del Pd Pierluigi Bersani si dice "pronto" a varare il Senato federale e il taglio del numero dei parlamentari. Altra questione è la legge elettorale che Bersani vorrebbe cambiare e che a Berlusconi sta bene così. Anche se i finiani aprono uno spiraglio: "Bisogna ripristinare il principio dell' elezione rispetto a quello della nomina" dice il senatore del Pdl Giuseppe Valditara. Molto meno dialogante Antonio Di Pietro: "Ma quale riforme, sanno solo spartirsi le poltrone".

(07 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

 

 

L'UNITA'

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2010-04-10

"Chiamerò gli italiani al referendum per dare il sì alla Terza Repubblica"

"Bersani non saprà resistere a Di Pietro e a Grillo. Non si comporterà come Togliatti nel '48"

Il piano segreto del Cavaliere

"Fini sta sbagliando ancora"

di CLAUDIO TITO

Il piano segreto del Cavaliere "Fini sta sbagliando ancora"

ROMA - "La Lega cerca l'accordo con la sinistra perché non vuole il referendum. Ma è un errore. Sto facendo una gran fatica per convincere Umberto, ma ci riuscirò".

Il referendum dobbiamo farlo e dovrà esserci un solo quesito. Perché la "Grande Riforma" va fatta salire su un vagone unico, un solo disegno di legge". Presidenzialismo, federalismo, giustizia. Sono questi i tre corni del progetto (non la legge elettorale) che Silvio Berlusconi si è piazzato da qualche giorno in bella vista sulla scrivania di Palazzo Chigi. Un disegno che tecnicamente sta ancora prendendo forma, ma che negli obiettivi del Cavaliere ha già assunto una precisa fisionomia. E una scadenza: il 2013. Quando si chiuderà la legislatura e anche il mandato presidenziale di Giorgio Napolitano. Due appuntamenti che nella sua "road map" segreta vanno via via sempre più sovrapponendosi.

Dopo la conferenza stampa di ieri a Parigi e nei colloqui avuti l'altro ieri sera ad Arcore, il premier ha tracciato con i fedelissimi il percorso che intende seguire nei prossimi tre anni. Una strategia puntellata di precauzioni e preoccupazioni. È infatti convinto che con il Senatur "dovrò spezzarmi in due" per persuaderlo. Ed è poi cosciente che con Gianfranco Fini sarà tutto più complicato. A Via del Pebiscito, guardano infatti con diffidenza alle mosse del presidente della Camera: il feeling con Pier Ferdinando Casini, il dialogo con l'opposizione, la sponda con Giorgio Napolitano. Eppure, ragiona il presidente del consiglio, "non si è accorto che il capo dello Stato si sta comportando bene. Anche oggi è stato corretto". L'inquilino di Montecitorio, invece, "sta sbagliando, il referendum spazzerà via tutte le ambiguità".

 

Nella traiettoria che il premier ha tracciato, del resto, ci sono già dei punti fermi: non intende, ad esempio, segnare le riforme con la sola bandiera del federalismo. "Non ripeteremo l'errore del 2006. Il referendum solo sulle tesi leghiste era destinato alla sconfitta. Ma se puntiamo sul presidenzialismo e su un pacchetto unico e complessivo, gli italiani capiranno". Il referendum confermativo non prevede quorum e per questo la sfida del Cavaliere consiste nel persuadere elettori sul merito della "svolta". "L'Italia - ragionava ieri tornando in Italia da Parigi - è ormai pronta per il presidenzialismo. La gente vuole scegliere direttamente e io continuo a fare politica solo perché credo di poter lasciare il segno". Per di più, con un solo disegno di legge la campagna elettorale non potrà concentrarsi solo sul capitolo giustizia. Che Palazzo Chigi considera il più delicato. Sta di fatto che l'orizzonte del riforme, per Berlusconi, sta diventando sempre più lo strumento per accreditarsi con una veste nuova a fine legislatura. Un nuovo profilo per presentarsi di nuovo alle urne per candidarsi alla guida - da Palazzo Chigi o dal Quirinale - della "Terza Repubblica".

"Lasciare il segno", un refrain che ormai il Cavaliere ripete a tutti. Un risultato da conseguire nei prossimi tre anni per non rischiare "un ritorno alla Prima Repubblica". Un traguardo, però, che impone il superamento dei dubbi "lumbard" e "l'abbattimento" delle resistenze del presidente della Camera. Basti pensare a quel che dice della legge elettorale. Il modello semipresidenzialista francese va costruito senza il doppio turno perché l'attuale sistema "ha funzionato bene, ha tutelato il bipolarismo e la stabilità, ha portato in Parlamento solo cinque gruppi. Non accetterò mai che venga cambiato. Lo sappia anche Gianfranco". Il suo timore "ufficiale" è che si ritorni ad un meccanismo che favorisca "i boss locali e il malaffare". Quello "ufficioso" è fondato sulle paure che il doppio turno coalizzi tutti gli "anti-Berlusconi" mentre la Lega può correre da sola al primo turno.

Persino le richieste pervenute da Bersani rafforzano l'opzione referendaria. "Io vorrei l'accordo con la sinistra, lo vorrei tanto, ma temo che saremo costretti a fare da soli. Lavorare solo sul Senato federale e sulla riduzione dei parlamentari, come chiede il segretario Pd, equivale a non fare niente. Vedo che pure Violante sostiene questa tesi. Ma a che serve? La verità è che non hanno un leader, non hanno uno in grado di "tenere", di difendere le mediazioni come fece Togliatti nel '48. Non sapranno resistere a Di Pietro e a quel Grillo. Dovranno dirci di no e noi procederemo con il referendum".

Il percorso triennale studiato da Berlusconi terminerà dunque con la legislatura. E negli ultimi giorni, il presidente del consiglio ha ricominciato a parlare del suo "futuro" in politica con uno sguardo di lungo periodo. "Io - si è sfogato con i suoi - vorrei tanto poter fare un passo indietro. Comportarmi come con le mie aziende: ho trovato una persona di cui fidarmi come Fedele che le gestisce benissimo. Ma un Confalonieri in politica non l'ho trovato". Eppoi ha azzardato un paragone che ha lasciato tutti di stucco e ha insinuato il sospetto anche tra lo staff: "Mi dicono che nel 2013 sarei troppo vecchio, eppure io vedo quanto è attivo Napolitano. E allora perché non posso andare avanti io che sono pure più giovane?".

© Riproduzione riservata (10 aprile 2010) Tutti gli articoli di Politica

 

 

2010-04-09

Bersani: "Con federalismo meglio presidente super partes"

"Nel momento in cui, bozza Calderoli compresa, si spinge in modo un po' confuso verso una strada federalista, mettere l'unico punto di garanzia nella contesa politica significa porre il Paese davanti un singolare interrogativo: chi lo tiene assieme? Quindi, quando si parla di presidenzialismo, di semipresidenzialismo, cose che esistono nel mondo, si tenga conto però della particolare situazione italiana e del fatto che stiamo avviandoci verso un sistema a forti connotati federali". Lo ha affermato il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, prima di intervenire al convegno organizzato a Parma dalla Confindustria. "Le riforme -ha detto ancora il leader Democratico - hanno un cantiere: si chiama Parlamento, finchè non attiviamo questo cantiere non ci sarà mai una riforma"

09 aprile 2010

 

 

 

 

 

Napolitano sulle riforme: "No anticipazioni proposte concrete"

Le riforme sono tornate di attualità le ipotesi. "Si parla da tempo di riforme istituzionali e costituzionali già mature" rileva il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che però ammonisce: "Non è serio intraprendere questo cammino a forza di anticipazioni e approssimazioni". Adesso, è l'appello del capo dello Stato, è il tempo di "proposte concrete".

Napolitano consiglia di affrontare le riforme con concretezza, realismo e saggezza. Completando prima quelle già avviate. Ciò significa "portare avanti il processo riformatore che è in corso, e che è quello dell'attuazione del titolo V già riformato della Costituzione". "Bisogna lavorare seriamente - dice il presidente - al cantiere già aperto della legge delega approvata con così largo consenso per l'applicazione dell'articolo 119, cioè del federalismo fiscale". Da fare anche la riforma del fisco. Inoltre, aggiunge il Capo dello Stato, "bisogna discutere degli aggiustamenti, se si ritengono necessari della stessa articolazione del titolo V. Bisogna decidere come coronare l'evoluzione in chiave autonomistica e federalistica dello Stato italiano con la riforma di quel bicameralismo perfetto nel Parlamento della Repubblica che già da un pezzo ha fatto il suo tempo". "Non c'è, non deve e non può esserci alcuna contrapposizione - conclude - tra autonomismo di ispirazione federalistica e unità nazionale. Lo dice chiaramente l'articolo 5 della Costituzione".

09 aprile 2010

 

 

 

Berlusconi scopre le carte Copiamo modello francese ma no al doppio turno

Silvio Berlusconi dice sì al presidenzialismo alla francese, ma ribadisce il suo no al doppio turno. In una conferenza stampa a Parigi con a fianco il presidente francese Nicolas Sarkozy, il premier dice di volersi ispirare a modello francese senza prendere "l'intero sistema: per esempio noi non siamo per il turno unico e per l'elezione nello stesso giorno del presidente e del Parlamento".

"Stiamo cominciando a lavorare, non abbiamo dato nessuna notizia ufficiale", ha detto ancora Berlusconi sottolineando che per il momento quella che è stata presentata al capo dello Stato Giorgio Napolitano è una bozza.

09 aprile 2010

 

 

 

 

Riforme, Fini: "Per un sistema alla francese la legge elettorale va cambiata"

Si accende il dibattito sulle riforme. Dopo che Maroni stamane aveva detto: "Siamo noi il vero motore", interviene Fini. "Non si può ragionare sul modello francese presidenziale prescindendo dalla legge elettorale", ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini nel corso di un convegno a Roma. "Se si guarda a Parigi è certo che le esigenze cui la revisione della forma di governo deve fare fronte sono assai simili a quelle che hanno indotto la Francia ad una estesa innovazione costituzionale".

Innovazione che "ha riguardato in modo armonico ed equilibrato modalità di elezione e poteri del presidente della Repubblica, ma anche contestualmente il riordino del Parlamento, le sue modalità di elezione, la sua funzionalità e partecipazione ai processi di decisione europea, la sua capacità di garantire il principio di unità dell'azione politica in salvaguardia degli interessi nazionali nelle sedi internazionali, principi che nell'ordinamento transalpino sono legati alla posizione costituzionale del presidente della Repubblica", spiega la terza carica dello Stato.

"La quinta Repubblica - sottolinea ancora Fini - può essere un modello per l'Italia, ma solo nella piena consapevolezza che un'adozione del modello francese non organica e di sistema, ma parziale o peggio ancora amputata di alcuni suoi fondamentali meccanismi di equilibrio e di garanzia, rischierebbe di non rispondere positivamente alle reali necessità del Paese".

Apprezzamento dal sindaco Pd di Torino Sergio Chiamparino per il monito del presidente della Camera Gianfranco Fini ad accompagnare la riforma costituzionale della forma di Governo con la riforma elettorale. "Io penso che la migliore legge elettorale sarebbe il ritorno ai collegi uninominali in un sistema maggioritario perchè è il sistema - ha detto Chiamparino a Sky tg 24- che consente una reale rappresentanza degli elettori da parte degli eletti sul territorio".

08 aprile 2010

 

 

 

Legittimo impedimento, norma incostituzionale ma che cancella gli alibi

di Raffaele Cantonetutti gli articoli dell'autore

Nella giornata di mercoledì, il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge cosiddetta sul legittimo impedimento che, in due articoli, prevede il diritto al rinvio dei processi a favore del Primo Ministro e dei Ministri, qualora "autocertifichino" di essere onerati di attività istituzionali, queste ultime intese in senso tanto ampio da farle considerare onnicomprensive di qualsivoglia impegno.

Come è stato ammesso in modo abbastanza esplicito, anche nel corso dei lavori in aula, la legge nasce per consentire di posticipare i processi che il Premier ha in corso a Milano, in attesa che il Parlamento modifichi la Costituzione, introducendovi il cosiddetto "lodo Alfano" e così sterilizzando i rischi di incostituzionalità. Ed infatti la norma è stata strutturata come una legge processuale temporanea, destinata a valere per soli 18 mesi.

Già questa è una vera e propria "stravaganza", non nuova in un panorama legislativo che offre di continuo materia anche a sociologi e storici per riflettere su come in questi anni lo strumento legislativo si sia evoluto (o meglio involuto) ed abbia perso i suoi caratteri di generalità ed astrattezza. Nei primissimi commenti a caldo è stato detto quasi tutto, non mancandosi di evocare il referendum abrogativo, strumento, comunque, inutile visto che certamente non si riuscirà mai a celebrare proprio per il carattere temporaneo della nuova normativa.

Per quello che può valere, anche io mi associo all’ottima compagnia di chi dice che la legge sia incostituzionale, perché introduce un privilegio molto simile a quello previsto dal lodo Alfano, in favore solo di una categoria di persone e, quindi, in contrasto con i principi di uguaglianza e pari trattamento di tutti i cittadini. È preventivabile, quindi, che sarà sollevata questione di legittimità costituzionale; essa, però, avrà valenza più simbolica che pratica, visto che i tempi fisiologi di pronunciamento della Corte coincideranno quasi con quelli della "morte naturale" della norma.

Non credo di dire un’eresia se aggiungo, alle tante autorevoli opinioni, che fra le molte proposte all’esame del Parlamento questa da ultimo approvata è certamente la meno dannosa per il sistema processuale, perché, pur creando un precedente pericoloso, non comporta alcun suo stravolgimento strutturale.

La sua entrata in vigore eliminerà, inoltre, un alibi di cui pure molti esponenti politici della maggioranza si fanno portatori e cioè giustificare l’approvazione di alcuni discutibili provvedimenti in materia processuale (ad esempio il cosiddetto processo breve) per garantire uno "scudo" al Presidente del consiglio, consentendogli di dedicarsi a attuare il programma di governo.

Da questo momento in poi, invece, per tutti gli altri disegni di legge all’esame delle Camere sul processo penale (dal processo breve, alla legge sulle intercettazioni alla riforma dei rapporti polizia-p.m.), nessuna giustificazione "diversa" sarà possibile e ci si dovrà assumere la responsabilità di licenziarli, spiegando, però, ai cittadini quali effettivamente saranno le disastrose ricadute in termini di efficienza del sistema e contrasto del crimine comune e mafioso.

09 aprile 2010

 

 

 

 

 

Mediaset, i pm: "Per Berlusconi rinvio a giudizio"

I Pm di Milano hanno chiesto il rinvio a giudizio del premier Silvio Berlusconi per frode fiscale e appropriazione indebita nell'ambito dell'inchiesta Mediatrade-Rti su presunte irregolarità nella compravendita di diritti televisivi per creare fondi neri.

L'accusa è stata formalizzata dal Pm milanese Fabio De Pasquale, che ha inviato al procuratore aggiunto Bruti Liberati la richiesta di rinvio a giudizio per il presidente del Consiglio e i suoi coimputati. Tra questi, risultano coinvolti nell'inchiesta, per frode fiscale, anche Pier Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri, insieme ad altre 9 persone.

Per il premier l'accusa è di frode fiscale, contestata fino al novembre del 2009, per 8 milioni di euro evasi, e di appropriazione indebita, che sarebbe stata consumata tra Milano e Dublino dall'8 febbraio 2003 al 30 novembre 2005, per 34 milioni di dollari. I reati non sono ancora caduti in prescrizione. Berlusconi potrà avvalersi del legittimo impedimento.

Alle contestazioni dei Pm i legali di Mediaset obiettano che "i diritti cinematografici oggetto dell'inchiesta sono stati acquistati a prezzi di mercato" e che "tutti i bilanci e le dichiarazioni fiscali della società sono stati redatti nella più rigorosa osservanza dei dei criteri di trasparenza e delle norme di legge".

L'inchiesta Mediatrade è uno stralcio di quella sulla compravendita dei diritti tv Mediaset. Altro stralcio era stata la vicenda della corruzione di Mills. Per questi due casi a Milano sono in corso i processi nei confronti del premier. Al centro dell'indagine Mediatrade, per la quale il gup di Milano Marina Zelante dovrà valutare la richiesta di rinvio a giudizio per Berlusconi, il figlio Pier Silvio e altre dieci persone, ci sono oltre 34 milioni di dollari contestati come appropriazione indebita aggravata, che riguardano fatti non coperti da prescrizione al presidente del Consiglio, al produttore cinematografico Farouk Agrama e ai manager Daniele Lorenzano, Roberto Pace e Gabriella Ballabio.

I cinque avrebbero operato "all'interno di un sistema di frode utilizzato dalla fine degli anni '80, in forza del quale i diritti di trasmissione forniti dalla Paramount, in misura minore da altri produttori internazionali, invece che direttamente dai fornitori venivano acquistati da Mediaset a prezzi gonfiati per il tramite di società di comodo riconducibili a Farouk Agrama". Quanto al reato di frode fiscale ipotizzato dai pm ammonta circa a 8 milioni di euro evasi dal 2005 al settembre del 2009.

09 aprile 2010

 

 

 

 

2010-04-07

Napolitano ha promulgato il disegno di legge sul legittimo impedimento

Dopo "approfondito esame", Giorgio Napolitano ha promulgato la discussa legge sul legittimo impedimento del premier e dei ministri, che ora può essere invocata da Silvio Berlusconi e dai membri del governo per assentarsi, per impegni ufficiali certificati dalla Presidenza del Consiglio, da processi in cui sono imputati e ottenere il rinvio delle udienze.

La decisione di Napolitano è stata accolta con entusiasmo dal Pdl. Antonio Di Pietro, pur astenendosi dai severi giudizi pronunciati altre volte sul capo dello Stato, ha annunciato però un referendum per abrogare una legge che considera incostituzionale ed immorale. Andrea Orlando, responsabile Giustizia del Pd, nel "pieno rispetto per la decisione di Napolitano" ha ribadito tutti i motivi politici che hanno fatto dire di no a una legge approvata "non nell'interesse degli italiani e delle istituzioni ma solo per difendere il premier dai processi".

"Punto di riferimento" del capo dello Stato è stata la sentenza della Consulta del 2004 che bocciò il Lodo Schifani, e anche la convinzione che la legge attuale precisi le norme penali vigenti senza intaccare le prerogative di libera valutazione del giudice.

Con la sentenza del 20 gennaio 2004, la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale il Lodo Schifani, la legge varata in vista del semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea e promulgata il 30 giugno 2003 dal presidente Ciampi, che prevedeva l'immunità per le alte cariche dello Stato. La Consulta la abrog• affermando che quello scudo processuale non rispettava l'uguaglianza dei cittadini sancita dalla Costituzione. Quella sentenza però, fa notare il Quirinale, riconobbe "l'apprezzabile interesse" ad assicurare il sereno svolgimento di rilevanti funzioni istituzionali "che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali del diritto". La legge attuale, secondo il Quirinale, si muove "in questo quadro" ed è parsa a Napolitano "rivolta a 'tipizzare l'impedimento legittimo disciplinato dall'art.420-ter del Codice di Procedura Penale, che la legge espressamente richiama, in un contesto di leale collaborazione istituzionale tra autorità politica e autorità giudiziaria".

In altre parole, i principi generali stabiliti per assentarsi dalle udienze per legittimo impedimento restano immutati, ma si precisa con quali modalità, per quali ragioni ed entro quali termini gli esponenti del governo possono far valere i loro impegni come motivo di forza maggiore. È fissata una durata massima di 60 giorni. Gli impegni di governo addotti devono essere "primari" o ad essi "coessenziali". Quest'ultimo termine restrittivo è stato introdotto, a seguito della moral suasion di Napolitano, al posto del più generico "attività connesse".

Inoltre resta valido un punto essenziale previsto nel secondo comma del citato articolo del CPP per stabilire la validità del legittimo impedimento opposto dall'imputato: "tale probabilità è liberamente valutata dal giudice e non può formare oggetto di discussione successiva nè motivo di impugnazione". Cioè, il legittimo impedimento non è uno scudo assoluto poichè in ultima analisi vale la prerogativa insidacabile del giudice di stabilire se le ragioni addotte sono valide. Una facoltà di interpretazione che, come dice Napolitano, implica la leale collaborazione fra istituzione giudiziaria e autorità politica.

07 aprile 2010

 

 

 

Cosa prevede il testo

Ecco, in pillole, cose prevede il ddl sul legittimo impedimento promulgato oggi dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Principio cardine: per il presidente del Consiglio, chiamato a comparire in udienza in veste di imputato, costituirà legittimo impedimento "il concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti". E stessa cosa varrà per i ministri.

Questo, in sintesi, il contenuto del provvedimento che era stato messo a punto dal capogruppo del Pdl in commissione Giustizia di Montecitorio, Enrico Costa e dal vicepresidente del gruppo Udc Michele Vietti.

I RIFERIMENTI A LEGGI E REGOLAMENTI - Nella norma, composta di due articoli, si indicano nel dettaglio leggi e regolamenti che disciplinano le attività del premier e dei suoi ministri e che dunque possono essere considerate legittimo impedimento.

In particolare si indicano: gli articoli 5-6-12 della legge 23 agosto 1988 n.400 e successive modificazioni; gli articoli 2,3 e 4 del decreto legislativo 30 luglio del 1999 n.303 e successive modificazioni; regolamento interno del Consiglio dei ministri di cui al decreto del presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993.

ATTIVITÀ "COESSENZIALI" - Dopo l'elenco minuzioso delle norme che indicano le funzioni di premier e ministri, si spiega che saranno comunque oggetto di legittimo impedimento anche tutte quelle attività "coessenziali" alle funzioni di governo. Termine, nota l'opposizione, peraltro non presente nel vocabolario classico della lingua italiana. Il giudice, su richiesta di parte, in caso di legittimo impedimento, dovrà rinviare il processo ad altra udienza.

CERTIFICAZIONE DI PALAZZO CHIGI - A certificare che esiste un impedimento "continuativo e correlato allo svolgimento delle funzioni", sarà la Presidenza del Consiglio. In questo caso il giudice rinvia il processo "ad udienza successiva al periodo indicato che non può essere superiore a sei mesi".

PRESCRIZIONE - Il corso della prescrizione rimane sospeso per tutta la durata del rinvio ("secondo quanto prevede l'art.

159 del codice penale primo comma n.3 e si applica il terzo comma dello stesso articolo"). Il che significa che si sospende il corso della prescrizione quando c'è "la sospensione del processo per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori o su richiesta dell'imputato o del suo difensore". In caso di sospensione (si legge sempre nell'art.159 primo comma n.3) "l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni". La prescrizione (si legge infine nel terzo comma del 159) riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.

SI APPLICA AI PROCESSI IN CORSO - La normativa si applica anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado alla data di entrata in vigore della legge.

IN ATTESA DELL'APPRODO COSTITUZIONALE - Il testo si applica "fino all'entrata in vigore della legge costituzionale" che dovrà contenere "la disciplina organica delle prerogative del presidente del Consiglio e dei ministri". E che dovrà anche fare riferimento alla "disciplina attuativa delle modalità di partecipazione" di premier e ministri ai processi. Comunque la sua efficacia non potrà durare più di 18 mesi dalla sua entrata in vigore, salvi i casi previsti dall'articolo 96 della Costituzione nel quale si parla della possibilità di sottoporre alla giurisdizione ordinaria il presidente del Consiglio e i ministri per reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, previa autorizzazione delle Camere di appartenenza.

SERENO SVOLGIMENTO FUNZIONI GOVERNO - L'obiettivo della norma è quello di "garantire il sereno svolgimento delle funzioni" di governo. La legge entrerà in vigore il giorno dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

07 aprile 2010

 

 

 

 

Riforme, Berlusconi frena Calderoli. Il Pd: "Il nostro testo c'è già"

La proposta ufficiale sulle riforme istituzionali ci sarà solo dopo che i partiti della maggioranza avranno deciso quale soluzione adottare, per il momento ci sono solo delle idee in cantiere. Lo ha spiegato Silvio Berlusconi durante l'ufficio di presidenza del Pdl a palazzo Grazioli.

Il premier, riferiscono fonti che partecipano all'incontro, ha sottolineato che Roberto Calderoli si è recato con un'iniziativa autonoma dal presidente della Repubblica. La proposta ufficiale della coalizione, ha riferito il premier, ci sarà solo al termine del giro di consultazioni all'interno dei partiti della maggioranza. "È necessaria una riforma delle istituzioni finalizzata a rafforzare il potere di decisione democratica e a stabilire un giusto equilibrio fra i diversi poteri dello Stato. In questa cornice si pone la riforma della giustizia, condizione essenziale per ricostituire un corretto rapporto tra il potere giudiziario e quello del Parlamento, e per garantire i diritti fondamentali di ogni cittadino".

Così il coordinatore del Pdl e ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi, nel corso della sua relazione introduttiva all'Ufficio di Presidenza del partito in corso a Palazzo Grazioli. Il Pd, con Rosi Bindi, spiega che "non ci siamo mai sottratti al confronto sulle riforme istituzionali e da tempo abbiamo presentato le nostre proposte. Ma quali sono quelle del centrodestra?"."Prima - osserva - devono chiarirsi le idee tra di loro e mettersi d'accordo, se ci riescono.

Siamo pronti a discutere del Senato federale, della riduzione del numero dei parlamentari e di una legge elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di scelta. Berlusconi però sembra più interessato a intervenire sulle intercettazioni che sui veri problemi del paese. Le riforme istituzionali sono importanti ma non possono essere usate come alibi per non affrontare la crisi economica e per non fare le riforme sociali di cui c'è bisogno per tornare a crescere".

07 aprile 2010

 

 

 

 

Apriamo il cantiere della sinistra "Al Pd serve una vera idea"

di Alfredo Reichlintutti gli articoli dell'autore

Che cosa deve succedere perché la sinistra invece di partire da questo continuo e insopportabile parlare di sé e dei suoi organigrammi si decida a tentare una nuova analisi della realtà? Dico realtà. Cioè non il chiacchiericcio riformista e politologico di questi anni, e nemmeno solo voti, modi di pensare, giustissime considerazioni sulla nostra debole presenza in molti territori. Dico mutazione dell’identità nazionale, crisi dello stato di fatto, cioè dell’essere sociale e culturale degli italiani. Calma e gesso. Evitiamo di drammatizzare.

La nostra sconfitta consiste in questo stare solo sulla cronaca politica, quasi ignari di processi più di fondo. Ma nemmeno la destra vince. Il "sultano" che non risponde ai giudici e alle regole perché sarebbe l’eletto del popolo ha preso solo il 32% dei voti espressi. E se calcoliamo l’astensione, scopriamo che solo 17 italiani su 100 hanno votato per lui. La Lega avanza in una delle regioni più ricche del mondo (il Nord d’Italia: 20 milioni di abitanti) mentre la Campania e la Calabria ritornano sotto il pieno controllo di forze senza volto.

Sono cose che dovrebbero spingere a pensare la politica, non come la "tabula rasa" di ogni ideologia, ma come invece è: un problema di idee di visione del futuro di impegno morale. Le solite chiacchiere di un vecchio comunista? Forse. In realtà stiamo assistendo a qualcosa che era in atto da tempo (vedi gli inutili articoli di Alfredo Reichlin) ma che configura ormai una sorta di cambiamento in diretta della fisionomia storica e culturale del Paese che abitiamo. Quindi la domanda che le cose rivolgono alla politica e ai partiti compreso il nostro, è chiara: dove pensiamo di riposizionare l’Italia, non come singole regioni (i famosi "territori") ma come organismo vivente capace di tenere insieme veneti e calabresi?

Esattamente la domanda che Galli Della Loggia ha posto alla Lega: riuscirà questo partito di Bossi a trasformarsi in una forza in grado di elaborare una prospettiva non solo "padana" ma nazionale? Forse se questa domanda, alla quale la Lega non è assolutamente in grado di rispondere, ce la ponessimo noi, potremmo - dico forse - assistere al miracolo: i capi di questo partito che smettono di piangersi addosso e che cominciano a tirarsi su i pantaloni per discutere tra loro, non sul chi comanda, ma sul fatto che una grande prateria si è aperta davanti a noi: la necessità di elaborare una nuova "idea nazionale". Non è poco ma questo bisogna fare. E farlo con la serietà e l’umiltà di chi sa che nessuno ha già le risposte e che queste vanno ricercate insieme, formando cioè un "gruppo dirigente", plurale ma coeso perché consapevole della missione che gli è capitata addosso. Vogliamo davvero ritornare alla politica come impegno morale? Questa è la strada.

Non bastano le poesie di Niki Vendola. Ci vogliono idee. Ecco ciò che voglio dire in sostanza ai giovani. Fatevi avanti, ma tirate fuori qualche idea forte oltre al certificato di nascita. La storia non ci dice che età avesse Giolitti al suo avvento, ma ricorda che idee mise in campo: riconobbe i diritti del mondo del lavoro, concesse il suffragio universale maschile, riformò il vecchio Stato sabaudo e reazionario. Del resto anche Berlusconi vinse dieci anni fa sulla base di idee nuove, sia pure perverse, sulla società degli individui e sulla sostanza del potere. Il paradosso attuale è che tutti invocano svolte, rinnovamento, addirittura "papi stranieri" (i quali sotto la regia di Ezio Mauro dovrebbero prendere in mano il Pd) ma non dicono dove stia il banco di prova di questo famoso rinnovamento.

Sta qui, cari amici. Sta nello scenario storico italiano davvero nuovo e denso di interrogativi inediti che il voto ha spalancato davanti ai nostri occhi. Dunque è qui dove si fissa finalmente in modo chiarissimo l’asticella dell’alternativa. Molta chiacchiera "riformista" di questi anni è alle nostre spalle. L’alternativa si fissa qui, dove è tornato in gioco l’assetto dello Stato repubblicano definito dalla mia generazione a prezzo di molto sangue e molti sacrifici. Non è affatto inevitabile la rottura dello Stato. Ma le ragioni dell’unità nazionale devono essere rielaborate, e ciò in un più stretto rapporto con l’Europa e col mondo. Forse un assetto federalistico è ormai inevitabile. Ma se si slabbra il tessuto della nazione saranno i diritti democratici e quelli dei più deboli a pagare.

Intervista di Concita De Gregorio a Nadia Urbinati: "Il Pd deve ritrovare la sua gente"

Chiamparino: "Serve un Pd federale"

Intervista al sindaco di Lecco: "E' falso mito il buon governo della Lega"

Giuliano Amato: "No al presidenzialismo e al ping-pong con il premier"

Berlinguer: "La sinistra deve aprire le sue porte"

07 aprile 2010

 

 

 

 

"Lavori in corso", apriamo il cantiere della sinistra

di Concita De Gregoriotutti gli articoli dell'autore

Da dove cominciamo, Nadia Urbinati, a parlare del risultato elettorale e dello stato della sinistra in Italia? Dal Partito democratico? Dal cantiere dei lavori fatti e da fare, dall'analisi degli errori e dalle fondamenta di una nuova proposta? Cominciamo dal successo di Vendola, da Grillo?

"Cominciamo dall'Emilia".

Risponde così Nadia Urbinati: c'è bisogno di una discussione larga, ampia, franca e senza paura. Un dibattito come quello che si è sviluppato in questi giorni anche sulle colonne del nostro giornale e soprattutto nel web, migliaia di lettori ci hanno scritto per raccontarci quel che vedono, quel che sperano, quello in cui credono e in cui non credono più. Apriamo davvero il cantiere delle idee, dice la docente della Columbia, appassionata studiosa di politica. Però facciamolo a partire dalla realtà: lasciamo che l'insegnamento ci venga dai fatti.

Dunque l'Emilia, dove da poco è tornata a vivere. "Perchè in queste settimane, da quando sono rientrata in Italia, ho visto nei miei paesi qualcosa che non avevo visto mai. L'Emilia sarà la prossima regione a diventare leghista se non ci sarà un cambio radicale e profondo. In larga parte lo è già. Vedo i militanti della Lega girare per le piazze dei paesi con le roulotte e i camioncini, fermarsi a fare comizi di fronte a sei persone. Senza telecamere, senza microfoni. Senza media al seguito. Li sento scandire parole d'ordine semplici che fanno presa. Vedo le persone a me vicine cambiare. L'Emilia oggi è la frontiera più avanzata, o più arretrata. È Little Big Horne. La Lega ha capito molto bene che è questa la sfida più grande. La rivincita. Il vecchio desiderio democristiano. Quel che non si è tinto di bianco oggi si sta tingendo di verde. I leghisti hanno la capacità di farlo. Hanno militanti che credono, non che dubitano e discutono. Fanno turni, lavorano in modo sistematico, casa per casa. Il modello americano è questo: casa per casa. Non bastano le cene elettorali, quelle sono ad un altro livello. Nelle piazze dell'Emilia profonda il Pd non c'è. A Ferrara ho visto le navette che portano al centro commerciale. Nei paesi sono tutti chiusi dentro le case, con le loro parabole per vedere la tv. E' il Midwest: è qui che si vince o si perde".

"A partire dal linguaggio, sì. Ma dietro il linguaggio ci deve essere un ordine del discorso. Devi prima sapere cosa vuoi poi dire cosa pensi. Farlo in modo chiaro. Parole semplici e narrativa ricca. A Carpi, a Sassuolo. C'è la crisi della ceramica. Ha la sinistra una politica di riconversione industriale da proporre? Le donne della Omsa, senza lavoro perchè la manodopera all'estero costa meno. La risposta non può essere la cassa integrazione per mesi, per anni. Ci vuole un progetto. Quegli impianti devono restare qui, qualcuno sa dire come? La Lega dice che i neri - gli stranieri - portano via il lavoro. In queste zone è un'affermazione che somiglia alla realtà. Quando il lavoro non c'è la competizione è fra chi resta escluso e chi entra in assenza di regole. Sappiamo dare una risposta?"

"A Modena - continua Nadia Urbinati - ho visto favolose piste ciclabili. Non basta. Ho visto nascere come funghi grandi centri commerciali fatti per dare ossigeno alle coop edili. Hai dato lavoro per qualche tempo agli edili, ma hai finito per portare la gente nei luoghi del berlusconismo. Dentro casa davanti alla tv durante la settimana, al centro commerciale nel week end. L'integrazione con le comunità immigrate non è avvenuta. Ciascuno vive nel proprio ghetto. I bambini vanno insieme a scuola, e cosa fanno dopo? Niente che li porti in un futuro diverso dal passato: rientrano nelle loro comunità di origine, gli adulti si chiudono e si difendono gli uni dagli altri. Sta nascendo un'altra società e la sinistra non ne è consapevole, non sembra esserlo, se lo è è impotente".

"Proviamo in Emilia a ricostruire le sezioni di partito. Non i circoli che si riuniscono una volta al mese, per il resto deserti, nel migliore dei casi i militanti si parlano sul web. È la presenza sul territorio che manca, i giovani hanno bisogno di fare qualcosa, lo chiedono: domandano cosa possiamo fare, dove possiamo andare? Non c'è un luogo. Alle feste dell'Unità la maggioranza è fatta di anziani. È a questo livello che bisogna ricostruire a partire dai nostri principi, i nostri valori: il buon governo, la legge uguale per tutti, la Costituzione, la crescita di una comunità solidale".

"Il Pd è nato distruggendo i partiti alla sua sinistra. Una parte della sinistra non si riconosce in quel partito, né può farlo. Ma il modello arcipelago è fondamentale. Se non ti federi con i partiti a te vicini quelli se ne vanno. Gli elettori con loro. La scelta strutturale di guardare al centro ha conseguenze visibili. Gli elettori che non si riconoscono in questo Pd guardano a Di Pietro, poi a Grillo. Oppure si astengono. È una catena di delusioni progressive. Poi, certo, se guardo ai risultati dei partiti alla sinistra del Pd osservo che l'utopia è parte della politica, e la protesta è necessaria. Serve se è finalizzata a un risultato, se no può diventare dannosa per tutti. Si può stare vicini senza essere identici. Bisogna ascoltare chi protesta, provare a comprendere e non snobbare. Lo stimolo critico deve essere espresso, ce n'è bisogno. Nader ha determinato la sconfitta di Gore, ma è stato perché la politica di Gore non era abbastanza convincente".

"Il grande problema è avere una classe dirigente solo istituzionale, parlamentare. Sarebbe una buona cosa che il leader dello schieramento non fosse un uomo delle istituzioni. Chi è nella condizione di difendere la sua posizione non è fino in fondo libero. Vivere di politica significa che non si può vivere per la politica. È Weber. Ci vogliono personalità libere di progettare un disegno comune fuori dagli schemi delle convenienze e delle appartenenze. Sarà chi saprà trovare un minimo comune denominatore alle forze della sinistra colui che saprà renderla forte abbastanza da consentirle di governare il Paese".

"Sì, c'è anche una questione di leadership. Dobbiamo consentire di far crescere un'altra generazione, non usarla solo come simbolo senza dargli potere. Se no è il rapporto che c'è tra genitori e figli: i genitori hanno la borsa, tengono i cordoni. I figli hanno bisogno del loro conto in banca. Non hanno lavoro, non hanno autonomia, non hanno peso".

"Berlusconi occuperà anche il web. Ha grande istinto, è capace di arrivare alla gente. Per il Pd il web è burocrazia, un lavoro come il resto. Non rispondono. Io lo uso a volte. Non mi rispondono. Non vedono, non capiscono. Obama ha vinto le elezioni grazie alla rete. Un dollaro a testa, in milioni e milioni lo hanno finanziato. Qui vai a cene elettorali dove paghi cento euro e il leader non viene. Certo bisogna fare le due cose: ma farle bene, entrambe".

"Infine direi solo: bisogna andare a riprendere le persone e tirarle fuori da casa, dar loro qualcosa di più interessante della tv. Berlusconi ha costruito il suo potere isolando gli italiani davanti alle sue tv. Ma la Lega non ha tv, usa il modello del Pci di antica memoria. Uno stile premoderno, il camioncino e il megafono, bussano e ti compilano i moduli, ti aiutano a risolvere i problemi minimi che per le persone sono fondamentali. Noi non facciamo né l'uno né l'altro. Vogliamo cominciare a parlarne?".

04 aprile 2010

 

 

 

 

 

"Partito del Nord? No, per battere la Lega serve un Pd federale"

di Simone Collinitutti gli articoli dell'autore

Bisogna cominciare dalla definizione del profilo identitario e dal rapporto col territorio". Eccole, per il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, le prime pietre del "cantiere della sinistra" che deve inaugurare il Pd.

Cominciare dal rapporto col territorio, dice: cos’è, finora non c’è stato?

"Sul territorio ci siamo, il problema è per fare cosa. Perché un conto è starci per cercare il numero sufficiente di amici per farsi eleggere a questa o quella carica, un conto è starci per fare politica e dare risposte ai cittadini".

E gli esponenti Pd come ci stanno?

"Guardi, il punto non è la scelta dei singoli ma il messaggio che dà il partito. O si ridà un senso, una missione, oppure è difficile fare passi avanti. Oggi manca il sentirsi parte di una squadra grande che combatte una partita giusta. E la condizione di base è smontare questo mostruoso sistema correntizio che preesisteva al Pd e che accentuandosi sempre più ha condizionato tutte e tre le segreterie".

Quindi cosa dovrebbe fare Bersani?

"Avere il coraggio di prendere in mano la situazione e dare responsabilità a persone che contano non perché sono i numeri uno, due o tre di questa o quella corrente ma perché rappresentano qualcosa dove vivono e dove lavorano. Possono essere amministratori, professionisti, sindacalisti, persone che operano nel volontariato. E su questa base provare a ribaltare la situazione del partito. È una condizione necessaria, ancorché non sufficiente".

E per arrivare alla sufficienza?

"Manca ancora un profilo identitario. Un tempo discendeva da nobili e tragiche dimensioni ideologiche e da esperienze ad esse legate. Oggi sarebbe caricaturale riesumare quel modello. Il profilo identitario si costruisce partendo dalla prassi, dalle risposte che si danno ai problemi del paese. E questo cominciando a lavorare in una logica che non sia solo di partito ma di coalizione".

Il ruolo degli amministratori locali in tutto questo?

"Non lo dico per vendere bene la categoria, ma il ruolo a cui siamo chiamati ci mette in prima fila nell’affrontare i problemi e ci consente di sostenere le opinioni con degli esempi concreti. Per questo credo che i sindaci e gli altri amministratori locali devono essere una punta avanzata della riscossa del Pd".

Finora non è stato così?

"Finora ho visto molto spazio dato a persone che bivaccano nei palazzi romani e che sono lì perché qualche corrente o sottocorrente ha deciso che sono loro i referenti. Ma queste persone hanno come elemento di credibilità quello di essere un riferimento di un pezzo del partito. È troppo poco per essere anche un riferimento credibile per l’opinione pubblica".

Di nuovo il problema delle correnti...

"Il danno non è da poco, perché un conto è se questi signori ci sono ma si muovono in funzione di un disegno politico, un conto è se sono loro che condizionano un disegno politico".

Nadia Urbinati, sull’Unità di domenica, diceva che chi vive di politica non può vivere per la politica: "Sarebbe una buona cosa che il leader dello schieramento non fosse un uomo delle istituzioni". Che cosa ne pensa?

"Sinceramente ho qualche dubbio che possa essere la soluzione giusta. A parte che lo vedremo più in là chi sarà il leader della coalizione. Ma comunque, non mi convince l’ipotesi di affidarci a una persona completamente estranea alla politica e ai luoghi della politica".

Neanche per dare un segnale di "decastizzazione"? La Lega ha successo anche perché viene percepita come un partito non di "casta" e che si occupa dei problemi dei cittadini.

"La Lega riproduce e anzi accentua tutti gli elementi propri della casta politica. Però ha saputo far sentire ai cittadini che è vicino ai loro problemi. Anche perché noi glielo abbiamo lasciato fare. In molti casi ha avuto delle praterie di fronte a sé. Noi non siamo stati capaci di affrontare i problemi della sicurezza senza confonderli con quelli dell’immigrazione".

Un Pd del Nord sarebbe utile nel contrastare la Lega?

"No, quello che serve è un partito federale, perché non è che noi stiamo male al Nord e bene da altre parti. Se escludiamo il Centro stiamo male dappertutto. C’è bisogno di un partito che sia capace di fare l’unità nazionale ma partendo da differenze regionali. E purtroppo con le regionali si è persa un’occasione perché alla fine le scelte sono state tutte dettate, più o meno casualmente, da decisioni prese a livello centrale".

Esclude il Centro, ma a sentire Nadia Urbinati si rischia di perdere anche l’Emilia Romagna.

"Ho visto dati in alcune città piuttosto preoccupanti. E alla lunga è chiaro che nessuna ridotta può resistere. Però prima che venga messo in discussione il radicamento che abbiamo in queste zone, c’è tutto il tempo per invertire la tendenza".

Lei, in tutto quel che si è detto fin qui, è disponibile a dare una mano?

"Se c’è da fare la mia parte la faccio, finché sono sindaco e ho un ruolo pubblico. Dopo si vedrà. Se c’è da dare qualche suggerimento su come si può cercare almeno parzialmente di tradurre in pratica quanto detto, qualche modesto suggerimento lo posso dare".

07 aprile 2010

 

 

 

"Sveglia, è falso mito il buon governo della Lega di Bossi"

di Toni Joptutti gli articoli dell'autore

Calderoli e Castelli, ministri leghisti della Repubblica, si sono graffiati l’un l’altro per Lecco. La sconfitta brucia, quella era "roba loro" da diciassette anni e se la sono bevuta da "pirla" mentre il resto del Nord, a dispetto del Pdl, sembra ululare "Lega-Lega". Castelli, poi, che doveva diventare sindaco ora giura che non andrà nemmeno in consiglio comunale, visto che non lo hanno voluto eleggere. Caratterini. Ma cosa è successo? Chi o cosa ha fermato in Lombardia l’Idea della storia che pareva il pomo d’Adamo di Bossi? E perché questa sconfitta fa loro più male di quella subita a Venezia? Chiedere al nuovo sindaco, Virginio Brivio, 48 anni: sa cose che altri, nel Pd, oggi alle prese con una tormentata digestione del presente, ignorano o magari non sanno più di sapere.

Scusi, sindaco, può aiutarci a capire? Com’è riuscito a battere un nome forte della Lega con un fronte tutto di sinistra senza il contributo dell’Udc?

Procediamo con ordine, così magari riusciamo a dire qualcosa di sensato anche a proposito della riflessione che si è aperta nel Pd dopo le regionali e che l’Unità ha ospitato. Primo: non aver paura, la Lega non fa paura, bisogna liberarsi di una montagna di luoghi comuni che ne proiettano un’immagine ben oltre le sue possibilità e le sue capacità.

Per vincere la paura bisogna vedere nel buio...

Fuor di metafora, basta scendere in strada e parlare, stare in mezzo alla gente, forti della nostra cultura solidaristica, altro che rincorrere il cinismo protezionista della Lega. Tra l’altro, il solidarismo, la disponibilità all’incontro sono fondamenti dell’agire di questa terra e non solo di questa terra. I cittadini devono sapere con certezza che noi non useremo mai i bambini, privandoli della mensa, per stanare i genitori che non pagano le rette. È successo a Montecchio Maggiore, dove governa una sindaca leghista. Vede, ho la sensazione che molti di noi si siano rifugiati in questa suggestione secondo cui "la Lega è un treno inarrestabile" per non scomodarsi. La Lega "va di moda" ma non è quel prototipo di ruvida efficienza che abbaglia molti osservatori.

D’accordo, racconti i fatti...

Il buon governo "verde" qui è una balla. In tre anni, sono rimasti senza numero legale per diciassette volte, si sono registrati otto avvicendamenti di assessori sui dieci complessivi della giunta. Molte opere pubbliche sono ferme non perché i soldi manchino ma perché sono stati male usati, si pagano mutui per opere che non si sono mai realizzate. Poi, c’è una doppiezza leghista che sarà il caso di smascherare una volta per tutte...

Non è allora vero ciò che dice Bossi: la Lega fa ciò che promette?

No che non è vero. Sa cosa penso? Penso che la Lega si sia imborghesita. Molti dirigenti sono diventati romani, stanno nel governo che massacra gli enti locali e le loro finanze, votano i massacri e poi vengono qui, fanno shopping elettoralistico gridando "Roma ladrona", tiran su qualche gazebo e buona notte. Mai vista la Lega opporsi alla fiducia chiesta dal premier su un provvedimento che taglia i finanziamenti ai comuni. Ecco una foglia che si comincia a mangiare anche in zone tradizionalmente a loro disposizione...

Avanti coi luoghi comuni, ci stiamo prendendo gusto...

Si presentano come il nuovo e invece sono il partito più vecchio della seconda Repubblica, si dichiarano vittime e sono artefici dei mali che denunciano quando sono lontani da Roma. Invece, per colpa loro a Lecco la legislatura si era chiusa in anticipo per le dimissioni di massa dei consiglieri.

Il centrosinistra vince a Lecco: grazie all’astensione?

Altro luogo comune: il voto comunale ha recuperato punti su quello regionale. Il 76% degli aventi diritto hanno votato per il Comune e il Pd registra un record storico: ha superato il 36%. L’otto per cento dei voti si è spostato dall’area Pdl-Lega delle Regionali al centrosinistra. È chiaro il messaggio?

Chiaro. E a voi quel che è accaduto cosa suggerisce?

Conviene riprogrammarsi. Smettere di parlare al proprio ombelico e immaginare di poter convincere strati di popolazione che fin qui hai identificato come "moderati" al servizio della destra. E invece non sono di destra, aspettano solo che qualcuno parli loro con sincerità e ragionevolezza. E torniamo all’origine: bisogna parlare e parlare e parlare, stare in mezzo, condividere, se non vogliamo che la Lega si prenda anche l’Emilia. Una volta lo sapevamo fare a sinistra. Sapendo che la Lega ha avallato misure centralistiche che hanno mortificato e lo faranno anche di più in futuro, la dignità degli enti locali, del Nord, se volete: il patto di stabilità, la gestione dell’acqua oltre al taglio dei trasferimenti finanziari. Hanno votato loro, hanno firmato loro. Ora c’è crisi e con la crisi si aguzzano attenzione e senso di critica.

Scusi, avrebbe una parola buona anche per la sinistra?

Funziona a Lecco un rapporto leale con la sinistra, nella sinistra. Ci si è confrontati su un programma condiviso, abbiamo raggiunto un’ampia unità su una precisa strategia amministrativa evitando di avvelenarci trascinando a livello comunale temi di caratura nazionale.

State per partire per Milano, con le vostre fasce tricolori da sindaci della Lombardia: cosa ci andate a fare?

Andiamo a stanare un’ipocrisia di governo senza badare ai partiti di appartenenza. Del resto, se hai un minimo di lealtà intellettuale non puoi non registrare quel che viene da questo governo.

07 aprile 2010

 

 

 

 

 

Giuliano Amato: "No al presidenzialismo e al ping pong con il premier"

di Pietro Spatarotutti gli articoli dell'autore

Dico no al presidenzialismo perché ci consegnerebbe un presidente di parte...". Giuliano Amato non ha dubbi sul progetto di Berlusconi. Pensa invece a un modello che rafforzi i poteri del governo e garantisca il ruolo del Parlamento. Analizza l’Italia uscita dalle urne: il dominio leghista al nord che condizionerà il Pdl e le difficoltà del centrosinistra. "Il Pd deve sottrarsi al ping pong con il premier perché rischia sempre di essere solo il pong", avverte in questa intervista con l’Unità.

Presidente Amato, Berlusconi rilancia il tema delle riforme. Ma il centrosinistra deve accettare il confronto? O non sarà un’altra trappola?

"Certo che il centrosinistra deve avanzare le sue proposte. Un sistema così non funziona più, negli equilibri costituzionali la legge elettorale ha ormai infilato l’anguilla dei poteri del primo ministro che altera il quadro. Bisogna fare di tutto, però, per evitare il rischio che passi il messaggio che chi non è favorevole al presidenzialismo è solo uno che dice sempre no".

Quindi lei è contrario al presidenzialismo. Ma non ne era un fautore?

"Vent’anni fa proposi il presidenzialismo per due ragioni. La prima era che bisognava sbloccare un sistema impastoiato di proporzionale che non generava schieramenti alternativi. La seconda era che la frattura che aveva diviso gli italiani si stava ricomponendo con la fine del comunismo. Pensavo allora che un presidente elettivo e votato sia pure dalla sola maggioranza potesse essere però riconosciuto come rappresentante dell’unità nazionale, così come è sempre accaduto negli Usa. Vede, tra allora e oggi è successo che il sistema elettorale si è sbloccato e ci sono due schieramenti".

E perché il presidenzialismo non va più bene?

"Perché è avvenuta una nuova frattura che mi porta a dire che l’elezione diretta del presidente, come già si vede nell’elezione indiretta con il nome sulla scheda, non sarebbe altro che l’elezione di un presidente di parte. Oggi in Italia solo il Quirinale si mantiene super partes e per questo il suo grado di fiducia è alto. La politica invece resta un terreno di conflitto e le istituzioni che la incarnano destano meno fiducia. La soluzione allora è un’altra: far funzionare il governo nell’arena della repubblica parlamentare e qui tocca al centrosinistra proporre il rafforzamento dei poteri del governo senza compressione del ruolo del Parlamento. Non mi riconoscerei in chi dovesse accettare un presidenzialismo che priverebbe gli italiani dell’unica istituzione che rispettano ed amano".

Come si fa a rafforzare i poteri del governo e garantire il ruolo del Parlamento?

"Penso al cancellierato, che infatti prevede un premier forte con il potere di nomina e di revoca dei ministri e che ottiene dalle Camere termini stretti di votazione. Ma quel premier poi non può porre voti di fiducia su leggi di un unico articolo con ottocento commi. Perché così si distrugge il Parlamento".

Qualche giorno fa lei ha sostenuto che "nulla legittima il potere esorbitante di un’istituzione né se deriva dalla grazia di Dio né se viene per mandato elettorale". Ce l’aveva con Berlusconi?

"Quelle sono parole di Vittorio Emanuele Orlando e non si riferiva a Berlusconi, che non ebbe occasione di conoscere. Il punto è questo: né la grazia di Dio, né il mandato popolare possono consentire che un potere sovrasti l’altro, semplicemente perché lo stato di diritto si fonda sulla divisione dei poteri. È sempre Vittorio Emanuele Orlando a ritenere che quando c’è la primazia di un potere si esce dallo stato di diritto. È il tema che desta preoccupazione in vista delle riforme istituzionali".

Il nord alla Lega, il sud alla destra, il centro alla sinistra. Non è un’Italia frammentata quella che esce dal voto?

"Qualcuno ha notato che esce un tricolore con i colori messi in ordine sbagliato. È solo un gioco, ma lo ricordo perché io non credo ai colori compatti. Diciamo che l’Italia mantiene al proprio interno delle diversità. Certo, la Lega prevale nelle regioni più ricche che hanno attirato più immigrazione e che, oltre a provare quel sentimento verghiano della roba da spartire il meno possibile, sentono tutti i disagi del rapporto con gli immigrati. Questo ha favorito il partito di Bossi che è un partito dominante in Veneto, meno in Lombardia, ancor meno in Piemonte".

Ma che cosa ha di magico in Italia il messaggio leghista?

"Guardi, penso che se un problema non è governato bene dai moderati, meglio dai non estremisti, alla fine prevale la soluzione più estrema. Nel campo dell’immigrazione, per fare un esempio, ritengo che sicurezza e garanzie debbano viaggiare insieme. Non è accettabile, come succede spesso a sinistra, sostenere che parlare di sicurezza voglia sempre dire limitare la libertà".

Il Pdl perde voti e nella destra il peso della Lega è fortissimo. Che effetti avrà?

"Avrà effetti enormi su tre aspetti. Il primo è il federalismo fiscale e quindi le prospettive di perequazione a fronte di una questione meridionale che si aggrava sempre di più. Il secondo è legato al tema dell’immigrazione. Non c’è nulla di cristiano nelle posizione estreme della Lega e non credo che basti il no alla pillola abortiva per farne una seconda Dc. Il terzo è che comunque la Lega sta incarnando, ben più del Pdl, la nuova Italia del nord. E su questo anche l’opposizione, ha di che riflettere".

C’è chi nota che ormai il centrosinistra ha perso il radicamento nel territorio. È così?

"Si può anche vivere senza organizzazione ma solo se si ha presa nei mass media. Berlusconi è bravo, ha la forza e gli strumenti per imporsi mediaticamente. Non ha senso, però, che il centrosinistra pensi di fare la stessa cosa. Ma, attenzione: non si tratta solo di un fatto organizzativo. Nelle vene del Pd scorre il sangue del ventunesimo secolo? Oppure è sempre lo stesso sangue?".

Lei che ne dice?

"Mi chiedo: il partito del mondo del lavoro di che cosa sta parlando? Solo di lavoratori dipendenti che sono una minoranza? Non deve cercare di rappresentare anche quei giovani che sanno di sicuro di essere precari e non sanno se diventeranno dipendenti o autonomi? Il centrosinistra prospetta per loro un possibile futuro? In questi anni ho sentito un messaggio: più ammortizzatori sociali. Per carità, non mi oppongo. Ma se fossi uno di quei giovani direi: che me ne faccio di un partito che pensa solo alla mia indennità di disoccupazione e non alla mia occupazione?".

Secondo lei il centrosinistra ha giocato ancora troppo di rimessa rispetto a Berlusconi?

"Diciamo che c’è un problema di capacità egemoniche. Chi governa detta l’agenda ma l’opposizione deve essere capace di rovesciarla e di imporre temi suoi. Insomma, un partito nazionale si sottrae al ping pong in cui rischia di essere sempre e solo il pong". Il voto non è andato bene per il Pd ed è già ripartita la caccia al segretario. Le pare possibile? "Ho vissuto per anni in un partito, il Psi, nel quale a ogni evento esterno si rinnovavano le divisioni interne. Speravo nel futuro. E’ cambiato il partito ma le carte purtroppo sono sempre le stesse. Ma il gioco è a perdere".

07 aprile 2010

 

 

 

Giovanni Berlinguer: "E' un'Italia difficile, la sinistra deve agire e aprire le sue porte"

di Pietro Spatarotutti gli articoli dell'autore

È deluso ma non pessimista. Giovanni Berlinguer ci accoglie nella sua casa zeppa di libri con quello sguardo dolce e il ragionare pacato che ne hanno fatto uno dei politici più ascoltati a sinistra. Alla parete c’è una foto di lui con Enrico. Ricordiamo insieme le ultime parole di Berlinguer a Padova prima di morire: andate casa per casa, azienda per azienda..."La politica - dice Giovanni - deve ritrovare la capacità di stare tra la gente...".

Non è andata bene per il centrosinistra. Deluso?

"Certo, sono deluso dal risultato complessivo. Però al tempo stesso vedo che in questa battaglia per le regionali si sono manifestate alcune novità. C’è stata una buona mobilitazione che però ancora non ha compiuto quell’opera di convincimento diffuso".

Ma quale è l’immagine del Paese che esce dalle urne?

"Esce un’Italia difficile. Si è vista una scarsa partecipazione democratica che non si esprime solo nell’astensionismo ma anche, in alcuni casi, nel rifiuto di volersi cimentare per migliorare questo Paese".

Nel Nord la Lega è ormai padrona. Come ha fatto?

"Il voto alla Lega è un fenomeno preoccupante. Hanno scoperto un modo di fare politica che non è più quello da cui sono partiti. Cercano di caratterizzarsi come parte della vita politica e culturale e diffondono la loro tecnica oltre lo spazio locale. Credo che uno dei nostri compiti è quello di contendere lo spazio alla Lega".

La prima mossa dei governatori leghisti è dura: no all’uso della pillola abortiva. Un gesto grave?

"Ogni valutazione che riguardi la procreazione e anche l’embrione è difficile: ma già la Corte Costituzionale ha stabilito chiaramente la differenza tra un embrione e un "essere umano", dando priorità alla salute rispetto alla vita di un embrione. Gia nel 1978 la legge, di cui fui relatore, introdusse norme regolatrici che sono tuttora valide. Periodicamente, come ha scritto Sergio Romano, "è emersa la disponibilità di alcuni settori della politica a tollerare le interferenze". E le ultime prepotenze hanno per nome appunto Cota e Zaia. L’agenzia italiana ha avviato una risposta efficace".

Il voto leghista non dimostra che la parte più produttiva dell’Italia è lontana dalla sinistra?

"Non c’è dubbio che questo rischio è forte. Chiediamoci che cosa è successo. Noto che ci sono stati diversi spostamenti. Il lavoro si è modificato profondamente, è diventato da un lato più qualificato e dall’altro più sfruttato. Noi non abbiamo capito questi cambiamenti. Vedo come una paralisi delle forze di sinistra".

Il problema è: come riagganciare quei pezzi di società?

"Bisognerebbe partire dalla vita quotidiana, dalle trasformazioni negative. Guardi, penso non solo al lavoro e ai diritti, ma anche all’istruzione e a tutte le angherie che spesso vengono imposte".

Come ha fatto Berlusconi a reggere in un Paese in crisi?

"Il problema non è nel comportamento di Berlusconi e nel suo modello. C’è invece un ritardo nell’organizzazione dei democratici. Ci sono persone che dicono di fare politica ma che di fatto promuovono solo la propria attività. Insomma, si pensa troppo alle carriere piuttosto che al rapporto vero con il Paese".

Ora il premier dice: avanti con le riforme. Una minaccia?

"Una minaccia pesantissima. Già ora sono state introdotte norme che scardinano la Costituzione. E ora si prepara di peggio, il presidenzialismo. Dobbiamo opporci con forza".

Hanno tentato anche con l’articolo 18. Li ha fermati Napolitano...

"È uno dei tanti interventi che hanno caratterizzato la presidenza di Napolitano riuscendo a mantenere ancora un assetto che rispetta la Costituzione. Il Quirinale sta svolgendo un ruolo importante di garanzia".

Berlusconi è imbattibile?

"Niente affatto. Nella destra ci sono moltissime contraddizioni. La vera difficoltà è nostra. Dobbiamo cercare di lavorare in un ambiente più limpido". Limpido? "Sì, e faccio un esempio. Nel Pd ormai ci sono cinque, dieci e forse più gruppi che si formano non sulla base delle idee ma sulla spinta a creare centri di potere. Ora vedo che si sta lavorando per costruire una fondazione democratica nell’ambito del Pd. Tutto questo non facilita una battaglia profonda e intelligente".

Però qualche esempio positivo ci sarà. Burlando al Nord e Vendola al Sud vanno controcorrente...

"Certo, sono due buoni esempi. Per Vendola ho una grande amicizia e considerazione. In Puglia si è aperta la possibilità di ampliare le speranze per un’idea nuova. Nichi mi ha convinto che la politica deve cambiare radicalmente. E non solo negli indirizzi ma nei modi di lavorare e di pensare. Deve essere più vicina ai problemi dei cittadini".

Ma crede davvero che si possa aprire un cantiere in cui si sciolgano tutti compreso il Pd?

"È un cambiamento molto complesso. Non sono in grado di dire se sia davvero praticabile. Ma vedrei con grande entusiasmo questa trasformazione".

I giovani sono molto astensionisti. Come si fa a recuperare un rapporto tra loro e la politica?

"Non sono pessimista. Conosco e ho rapporti con studenti e giovani che si muovono in politica e anche esperienze familiari. Ho notato che negli ultimi due anni i giovani hanno ritrovato un certo interesse. Forse il problema sta nei partiti. Non si fa quanto necessario per aprire le porte".

Berlinguer, possiamo sperare che le cose cambino?

"Sono generalmente un ottimista. Spero proprio di non essere smentito".

07 aprile 2010

 

 

 

il SOLE 24 ORE

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2010-04-09

Napolitano sulle riforme chiede di puntare sul fisco

9 aprile 2010

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al suo arrivo a Verona (Foto Ansa/P.Giandotti)

"Dai nostri archivi"

I distinguo di Fini sul modello francese per le riforme

Berlusconi da Napolitano per l'agenda delle riforme

IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd

Riforme sì, riforme forse: le reazioni al monito del capo dello Stato

Le contraddizioni nei due poli che preparano il confronto

Tra le condizioni per superare la crisi economica e riportare l'Italia allo sviluppo ci sono "una serie di riforme non più procrastinabili" fra le quali quelle del fisco, della sicurezza sociale, della ricerca e anche della giustizia ("non sembri un fuor d'opera") . Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano da Verona rilancia la necessità delle riforme e consiglia di affrontarle con concretezza, realismo e saggezza. La politica "urlata" forse può portare consensi in termini elettorali ma "fa danni" al Paese. "C'è bisogno di più senso della misura - ha detto il capo dello Stato - e direi di più senso delle proporzioni".

Si parla da tempo, ha detto Napolitano, "e in particolare in questi giorni", di "riforme istituzionali e costituzionali già mature", ma non è serio intraprendere questo cammino a forza di "anticipazioni e approssimazioni". Al termine di un incontro alla Prefettura di Verona con il mondo dell'università e dell'impresa del capoluogo scaligero, Napolitano ha sottolineato che è "augurabile che si esca al più presto da anticipazioni e approssimazioni - spiega Napolitano - che non si sa a quali sbocchi concreti, a quali proposte impegnative, a quali confronti costruttivi possano condurre".

Sulle riforme Napolitano chiede di concentrare l'attenzione sul "cantiere aperto" dell'attuazione del federalismo fiscale. Con esso va messa in relazione anche la riforma generale del fisco. Di presidenzialismo e di premierato si può parlare, eccome, ma finora l'esperienza e "i tentativi falliti" del passato hanno messo in luce che non si sono trovate soluzioni praticabili. "Si possono legittimamente sollevare altri problemi, riaprire capitoli e difficili, come quelli di una radicale revisione della forma di governo su cui negli ultimi quindici anni non si sono però delineate soluzioni adeguate e politicamente praticabili". Detto questo, però, "è bene tenere conto dell'esperienza, dei tentativi falliti, delle incertezze rivelate anche dalla discontinuità della discussione su alcuni temi, come premierato e presidenzialismo, accantonati per molti anni".

Ci sono punti importanti di riforma già da tempo apparsi largamente condivisi. Sarebbe realistico e saggio non mettere a rischio e non tenere in sospeso quelle convergenze, ma mirare a tradurle in tempi ragionevoli, in dei corposi risultati". Per affrontare i problemi della crisi e dell'occupazione, ha detto Napolitano, occorrono riforme non più rinviabili, "bisogna guardare avanti alle condizioni da creare per consentire in Europa una crescita più alta di quella degli ultimi decenni. Non c'è altra via per affrontare i problemi dell'occupazione, degli investimenti, del debito pubblico. L'Italia deve fare la sua parte in Europa, nel quadro europeo, per fare contare l'Europa sulla scena mondiale".

IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd (di Stefano Folli)

Berlusconi da Parigi: priorità riforme presidenzialismo, fisco e giustizia

Fini vuole cambiare la legge elettorale per arrivare al modello francese

9 aprile 2010

 

 

 

 

Berlusconi da Parigi: priorità riforme presidenzialismo, fisco e giustizia

9 aprile 2010

"Da parte del presidente del consiglio e della sua splendida squadra c'è grande serenità per il lavoro fatto negli ultimi anni e una grande voglia di ammmodernare il nostro Paese nei prossimi tra anni". Lo ha detto il premieri Silvio Berlusconi, durante la conferenza stampa all'Eliseo.

A proposito di riforme istituzionali, ammiccando a Sarkozy, il presidente del Consiglio ha scherzato: "Guardiamo al semi presidenzialismo alla francese quindi su questo, se ci sono dei contrordini, ti prego di avvertirmi. Poi abbiamo - ha aggiunto - una grande riforma sulla giustizia che si impone e quella del sistema fiscale che va ammodernato" e semplificato anche perché così com'è "mette in difficoltà gli stessi fiscalisti. Queste sono le grandi riforme - ha aggiunto - a cui stiamo lavorando per i prossimi tre anni. Abbiamo davanti un panorama rassicurante".

9 aprile 2010

 

 

Berlusconi e Fini divisi

sul doppio turno alla francese

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9 aprile 2010

"Dai nostri archivi"

I distinguo di Fini sul modello francese per le riforme

IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd

Tra Berlusconi e Bossi vertice a Villa S. Martino sul dossier riforme

Pax ferroviaria tra Francia e Italia Nuovi accordi sul nucleare

Nasce "Generazione Italia": prove di dialogo tra Fini e il Pdl

Idillio post-elettorale finito? Chissà. Certamente il dibattito sulle riforme possibili e venture si arricchisce di un ulteriore episodio della lunga saga dal titolo "Fini la pensa diversamente da Berlusconi". Il premier, da Parigi, non ha fatto in tempo a finire il concetto sull'impossibilità di adottare in Italia il modello semi-presidenzialista francese completo di doppio turno, che il presidente della Camera gli ha dato un nuovo dispiacere. Non è "possibile", ha spiegato Fini, introdurre il modello del semipresidenzialismo francese senza il doppio turno.

Cosa ha detto Berlusconi

Per le riforme istituzionali "prendiamo ad esempio il presidenzialismo francese", ma "senza prendere tutto" il sistema. Così il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante la conferenza stampa a Parigi con il presidente francese Nicolas Sarkozy. Berlusconi ha infatti sottolineato di pensare a un sistema di voto "a turno unico", a differenza di quello francese che prevede il doppio turno, sia per l'elezione del Capo dello Stato sia del Parlamento. Berlusconi ha quindi messo in evidenza che al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stata presentata solo "una bozza di lavoro" sulle riforme e che ogni decisione su quale modello adottare scaturirà dal dibattito parlamentare. Tra le altre priorità indicate dal premier, "una grande riforma della giustizia" e una riforma del "sistema fiscale" con l'obiettivo di un suo "ammodernamento".

Berlusconi ha ipotizzato, riferendosi al turno unico, "l'elezione del Parlamento e del Presidente nello stesso giorno". È a questo, ha spiegato, che "si sta cominciando a lavorare" attraverso un avvio di discussione in Consiglio di ministri, quindi nella maggioranza, nei gruppi parlamentari, per arrivare a una proposta che "il governo farà propria" per presentarla all'esame del Parlamento.

Cosa ha replicato Fini

Le differenze di vedute sulla legge elettorale si possono chiarire, l'importante è "evitare una scorciatoia: di prendere parti di un modello e applicarlo su altri modelli", perché "il rischio è che il sistema non tenga". Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, parlando con i cronisti di due agenzie di stampa nel centro di Roma.

Secondo Fini, inoltre, la logica che deve ispirare l'approccio alle riforme è quello di guardare all'interesse generale. A chi gli chiede infatti se con il doppio turno si rischi di sfavorire il Pdl a causa dell'astensionismo, Fini risponde: "Sono valutazioni legittime, ma relative a logiche che sono dei partiti, mentre le riforme dovrebbero essere fatte con un'ottica che non può essere di questa o quella parte, ma nell'interesse generale". Quanto a Berlusconi, "tutto si può chiarire". Con il capo del governo - ha aggiunto la terza carica dello Stato - "mi vedrò la settimana che viene".

Napolitano sulle riforme chiede di puntare sul fisco

IL PUNTO/ Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd (di Stefano Folli)

Pax ferroviaria Parigi-Roma. Nuovi accordi sul nucleare

L'intesa tra Ansaldo e Areva

Il nucleare l'energia alle aziende

Frattini apre alla creazione dell'esercito europeo

9 aprile 2010

 

 

 

 

distinguo di Fini sul modello

francese per le riforme

di Celestina Dominelli

8 aprile 2010

"Dai nostri archivi"

IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd

IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd

Berlusconi-Bossi: avanti con le riforme

Tra Berlusconi e Bossi vertice a Villa S. Martino sul dossier riforme

Berlusconi su Fini: "Nel Pdl decide la maggioranza"

Il succo del suo discorso è tutto racchiuso nelle ultime battute. "La V Repubblica può essere un modello per l'Italia", a patto, però, che l'adozione di quel modello non avvenga in modo "parziale o peggio ancora amputato di alcuni suoi fondamentali meccanismi di equilibrio e di garanzia".

Così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, interviene nel dibattito sulla revisione della forma di governo abbracciando il semipresidenzialismo. Tuttavia, precisa la terza carica dello Stato, "non si può ragionare del modello francese prescindendo da un esame della legge elettorale". Che, per Fini, è "il maggioritario con sistema uninominale a doppio turno". Il doppio turno alla francese - spiega il presidente della Camera - "rafforzerebbe il sistema bipolare".

Il messaggio del presidente della Camera è quindi chiaro: una eventuale revisione della forma di governo deve viaggiare di pari passo con una parallela rivisitazione della legge elettorale. "Certamente le riforme italiane – aggiunge Fini – dovranno tenere conto della diversità, rispetto alla Francia, del nostro sistema politico-costituzionale e delle caratteristiche proprie delle esperienze istituzionali della nostra storia nazionale".

Il motivo è presto detto e Fini lo esplicita poco prima. "Per quanto il dibattito sulla forma di governo possa ricalcare quello francese che portò alla transizione dalla IV alla V Repubblica, nel caso italiano – per fortuna – mancano quegli elementi di rottura e di minaccia della sovranità nazionale da cui derivarono le decisioni costituzionali francesi del 1958". Soprattutto, rimarca ancora Fini, "il contesto in cui si inserisce una eventuale revisione della forma di governo italiana oggi è profondamente diverso da quello degli anni '50 e '60, quando l'esperienza europea era solo all'inizio".

Per questo, ammonisce la terza carica dello Stato, "il confronto tra la nostra realtà e quella francese è proficuo solo se condotto in modo scientifico". Una condizione che è mancata nel dibattito politico delle ultime settimane e il presidente della Camera non lo nasconde. "Ho l'impressione che da noi si parli sovente in modo troppo superficiale della vicenda francese".

Se dunque quella è la strada, è il messaggio di Fini, bisogna considerare poi un altro fondamentale tassello. "Anche in Italia si avverte l'esigenza di un miglior equilibrio istituzionale tra il potere esecutivo e quello legislativo". "Dobbiamo - aggiunge Fini - riequilibrare il ruolo del Parlamento rispetto al governo, garantendo un equilibrio armonico tra la rappresentanza del Parlamento e la leadership".

IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd (di Stefano Folli)

Napolitano chiede di non sprecare la legislatura

Sì al semipresidenzialismo, ma Berlusconi ne discuterà con l'opposizione

Trasmessi al tribunale dei ministri gli atti sul caso Berlusconi-Agcom

Napolitano promulga il legittimo impedimento

Patto con Bossi per il metodo "rapido" sulle riforme

8 aprile 2010

 

 

 

Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd

9 aprile 2010

Non sappiamo se l'Italia diventerà presidenziale, semi-presidenziale, con un premier più forte o nulla di tutto questo. Al momento nel discorso sulle riforme prevale la nebbia più spessa. Bisogna tuttavia dare atto a Gianfranco Fini di aver rotto un tabù sul quale il centrodestra aveva sempre glissato. Il tabù della legge elettorale.

Il presidente della Camera, parlando ieri in un seminario di "Farefuturo", ha detto una semplice verità: va bene discutere di una repubblica semi-presidenziale "alla francese", ma è ovvio che a un tale mutamento istituzionale deve accompagnarsi un modello elettorale adeguato. In Francia esiste l'uninominale maggioritario a doppio turno, il più idoneo a sostenere quell'assetto. Da noi viceversa è in vigore un sistema (ribattezzato ironicamente il "porcellum") che scontenta tutti tranne le segreterie dei partiti, visto che sono queste ultime a "nominare" i parlamentari grazie al meccanismo delle liste bloccate.

È una contraddizione che va sciolta, sebbene la maggioranza abbia fin qui schivato il problema con l'argomento che la legge elettorale non è materia costituzionale, bensì ordinaria; e come tale sarà discussa solo al termine del lungo iter riformatore.

Al contrario, Fini ha stabilito un nesso diretto fra il rinnovamento costituzionale e la legge elettorale. In questo modo ha ottenuto due risultati. In primo luogo, ha reso evidente che all'interno del centrodestra non è ancora maturato un chiaro indirizzo. Al di là dei risvolti mediatici e delle buone intenzioni, il rapporto di lealtà/rivalità fra Berlusconi e Bossi non ha fin qui sciolto i dubbi sul "che fare". E quindi, nel giorno in cui il presidente della Camera mette sul tavolo la questione del modello elettorale, tutti sono obbligati a definire meglio le posizioni.

Non bisogna dimenticare, ad esempio, che ancora ieri un esponente autorevole del Pdl come il senatore Quagliariello spezzava una lancia a favore del "premierato forte". Ossia la tesi più gradita nel campo del centrosinistra, che ne ha fatto uno dei passaggi chiave della cosiddetta "bozza Violante". Con un po' di malizia si potrebbe dire che sono in molti, a destra, gli aspiranti architetti dell'ipotetico accordo con un Pd peraltro imperscrutabile e scettico. Diffidente verso la "grande riforma" quasi quanto Berlusconi che sembra credere poco agli sforzi in atto e semmai si prepara ad affrontare i temi economici (non a caso il premier parlerà a Parma al convegno della Confindustria).

Del resto, la mossa di Fini - ed è il secondo punto - aiuta l'opposizione a rientrare in gioco. È vero che il partito di Bersani deve ancora decidere se e come partecipare alla partita in corso. Ma l'argomento della legge elettorale è un bel tema per sedersi al tavolo del negoziato. Purché non se ne voglia fare un uso solo strumentale e tattico, cioè di pura interdizione. Collegandola invece al riassetto dello Stato (semi-presidenzialismo, premierato forte), la bandiera della riforma elettorale permetterebbe al Pd di confrontarsi in campo aperto con il fronte Pdl-Lega. Anche per mettere a fuoco quali sono i giochi all'interno della maggioranza, quali i margini di equivoco. E fino a che punto Bossi è disposto a muoversi, se necessario, anche in autonomia da Berlusconi.

Senza dubbio il Pd non può permettersi di restare inerte, ai margini di un processo che sta iniziando. Come ripete il capo dello Stato, la legislatura non può essere sprecata. Ciò che è realizzabile, va realizzato.

 

 

Chiesto il rinvio a giudizio per Berlusconi su Mediatrade-Rti

di Donatella Stasio

09 Aprile 2010

"Dai nostri archivi"

Mediatrade-Rti: Berlusconi e Pier Silvio tra gli indagati

Nuovo processo per Silvio Berlusconi, accusato di frode fiscale (8 milioni di euro evasi) e di appropriazione indebita (34 milioni di dollari) nell'ambito dell'inchiesta Mediatrade-Rti su presunte irregolarità nella compravendita di diritti televisivi per creare fondi neri. Questa l'accusa formalizzata dal pubblico ministero di Milano Fabio De Pasquale, che ha chiesto il rinvio a giudizio del premier e dei suoi coimputati (12). Nell'inchiesta sono infatti coinvolti, per frode fiscale, anche Pier Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri, vicepresidente e presidente di Mediaset, nonché altre nove persone. La Procura di Milano aveva chiuso l'indagine il 22 gennaio ma prima di chiedere il processo al giudice per l'udienza preliminare ha preferito aspettare le elezioni. Davanti al Gup, Berlusconi potrà far valere il "legittimo impedimento" appena diventato legge, che sospenderà il processo (fino a 6 mesi e per un massimo di 18); la sospensione, però, non vale per i suoi coimputati. Se invece dovesse rimettersi in cammino il "processo breve", la nuova legge brucerebbe quasi 2 anni e mezzo di tempo, lasciando poco più di 6 mesi per arrivare alla sentenza, pena l'estinzione del processo. Impossibile.

I reati non risultano ancora prescritti perché l'approvazione indebita sarebbe stata consumata, tra Milano e Dublino, dall'8 febbraio 2003 al 30 novembre 2005, mentre la frode fiscale è contestata fino al 30 novembre 2009. Sino alla fine dell'anno scorso, quindi, secondo la Procura di Milano, Berlusconi padre e Berlusconi figlio, "sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie di Mediatrade e Rti (società del gruppo, ndr), indicavano nelle dichiarazioni consolidate di Mediaset elementi attivi inferiori al reale". Tra gli altri imputati, anche il produttore Frank Agrama, Daniele Lorenzano, ex capo acquisti di trasmissione per il gruppo Fininvest e Mediaset, Roberto Pace e Gabriella Ballabio, ex manager di Mediatrade.

Il meccanismo ipotizzato dal Pm è simile a quello del processo in cui Berlusconi è imputato di frode fiscale per i presunti fondi neri creati da Mediaset attraverso la compravendita dei diritti Tv e cinematografici (la prossima udienza è il 12 aprile). Mediaset avrebbe rinunciato a trattare i diritti televisivi direttamente con le majors americane, come fino agli anni '80 faceva personalmente Silvio Berlusconi, e avrebbe affidato l'incarico a un egiziano diventato cittadino americano, Frank Agrama, appunto, "socio occulto" del capo del governo perché comprava i diritti per rivenderli alle società di Berlusconi a prezzi gonfiati. Lo scopo: sottrarre denaro da Mediaset nonché alla disponibilità degli azionisti, mettendolo all'estero al riparo dal fisco.

Nell'atto di fine indagini si fa riferimento, tra l'altro, alla presenza di due cittadini di Hong Kong, fiduciari di Agrama, accusati di aver riciclato denaro proveniente dall'appropriazione indebita.

"Contestazioni assurde", aveva protestato Mediaset alla notizia della chiusura delle indagini, prodromica alla richiesta di rinvio a giudizio, rivendicando la "più rigorosa osservanza dei criteri di trasparenza e delle norme di legge" nei bilanci e nelle dichiarazioni fiscali della società. Secondo Berlusconi, invece, si trattava dell'ennesima "persecuzione giudiziaria".

09 Aprile 2010

 

 

Napolitano chiede di non sprecare la legislatura

8 aprile 2010

Napolitano chiede di non sprecare la legislatura

"Dai nostri archivi"

IL PUNTO / Il rinvio non turba (per ora) il clima di riconciliazione nazionale

Napolitano: "Riforme mirate, ma il clima non è propizio"

Napolitano: "Sì a una revisione bipartisan di specifiche norme della Costituzione"

Enrico Letta: "Le riforme ci rimettono in gioco"

PILLOLA POLITICA / "Riforme condivise": lo stop di Fini al metodo Berlusconi

Per portare a termine le riforme di cui il Paese ha bisogno serve "una riflessione adeguata senza disperdere le occasioni. Non dobbiamo trovarci di fronte a una legislatura sprecata". È il monito che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha lanciato parlando, a braccio, durante un incontro con il sindaco di Verona Flavio Tosi e con il Consiglio comunale.

Il capo dello Stato ha osservato che talvolta "la parola riforme è generica e perfino ossessiva" ma "sappiamo quali sono le riforme da fare, bisogna discutere e poi fare quelle che sono necessarie al Paese". La fine di questa legislatura "coinciderà con la fine del mio mandato al Quirinale. Facciamo che non sia una legislatura sprecata per le riforme. Discutiamo quali sono effettivamente necessarie e realizziamole", ha detto Napolitano.

8 aprile 2010

 

 

 

 

I distinguo di Fini sul modello

francese per le riforme

di Celestina Dominelli

8 aprile 2010

"Dai nostri archivi"

IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd

IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd

Berlusconi-Bossi: avanti con le riforme

Tra Berlusconi e Bossi vertice a Villa S. Martino sul dossier riforme

Berlusconi su Fini: "Nel Pdl decide la maggioranza"

Il succo del suo discorso è tutto racchiuso nelle ultime battute. "La V Repubblica può essere un modello per l'Italia", a patto, però, che l'adozione di quel modello non avvenga in modo "parziale o peggio ancora amputato di alcuni suoi fondamentali meccanismi di equilibrio e di garanzia".

Così il presidente della Camera, Gianfranco Fini, interviene nel dibattito sulla revisione della forma di governo abbracciando il semipresidenzialismo. Tuttavia, precisa la terza carica dello Stato, "non si può ragionare del modello francese prescindendo da un esame della legge elettorale". Che, per Fini, è "il maggioritario con sistema uninominale a doppio turno". Il doppio turno alla francese - spiega il presidente della Camera - "rafforzerebbe il sistema bipolare".

Il messaggio del presidente della Camera è quindi chiaro: una eventuale revisione della forma di governo deve viaggiare di pari passo con una parallela rivisitazione della legge elettorale. "Certamente le riforme italiane – aggiunge Fini – dovranno tenere conto della diversità, rispetto alla Francia, del nostro sistema politico-costituzionale e delle caratteristiche proprie delle esperienze istituzionali della nostra storia nazionale".

Il motivo è presto detto e Fini lo esplicita poco prima. "Per quanto il dibattito sulla forma di governo possa ricalcare quello francese che portò alla transizione dalla IV alla V Repubblica, nel caso italiano – per fortuna – mancano quegli elementi di rottura e di minaccia della sovranità nazionale da cui derivarono le decisioni costituzionali francesi del 1958". Soprattutto, rimarca ancora Fini, "il contesto in cui si inserisce una eventuale revisione della forma di governo italiana oggi è profondamente diverso da quello degli anni '50 e '60, quando l'esperienza europea era solo all'inizio".

Per questo, ammonisce la terza carica dello Stato, "il confronto tra la nostra realtà e quella francese è proficuo solo se condotto in modo scientifico". Una condizione che è mancata nel dibattito politico delle ultime settimane e il presidente della Camera non lo nasconde. "Ho l'impressione che da noi si parli sovente in modo troppo superficiale della vicenda francese".

Se dunque quella è la strada, è il messaggio di Fini, bisogna considerare poi un altro fondamentale tassello. "Anche in Italia si avverte l'esigenza di un miglior equilibrio istituzionale tra il potere esecutivo e quello legislativo". "Dobbiamo - aggiunge Fini - riequilibrare il ruolo del Parlamento rispetto al governo, garantendo un equilibrio armonico tra la rappresentanza del Parlamento e la leadership".

IL PUNTO / Se si rompe il tabù della legge elettorale meno alibi per Pdl e Pd (di Stefano Folli)

Napolitano chiede di non sprecare la legislatura

Sì al semipresidenzialismo, ma Berlusconi ne discuterà con l'opposizione

Trasmessi al tribunale dei ministri gli atti sul caso Berlusconi-Agcom

Napolitano promulga il legittimo impedimento

Patto con Bossi per il metodo "rapido" sulle riforme

8 aprile 2010

 

 

 

 

Trasmessi al tribunale dei ministri gli atti sul caso Berlusconi-Agcom

8 aprile 2010

"Dai nostri archivi"

Voli di Stato e Berlusconi: la Procura chiede l'archiviazione

Voli di Stato, Rutelli convoca Letta

Inchiesta sui voli di Stato: archiviazione per Berlusconi

Berlusconi indagato a Roma per l'inchiesta Agcom-Rai

Alfano attacca il Csm sull'inchiesta Agcom-Rai "Violata la Costituzione"

 

Sono stati trasmessi oggi dalla procura di Roma al tribunale dei ministri gli atti riguardanti la vicenda delle presunte pressioni esercitate da Silvio Berlusconi per sospendere il programma di Michele Santoro Annozero.

Berlusconi è indagato per minacce e concussione. Gli atti, circa mille pagine, erano arrivati nella capitale, per competenza territoriale, dalla magistratura di Trani, la quale si era imbattuta sulle presunte pressioni del premier nei confronti del commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi indagando su un illecito traffico di carte di credito. Nel procedimento finito al vaglio del collegio incaricato di valutare gli eventuali reati commessi da Berlusconi nell'esercizio delle funzioni di governo sono considerate parti lese l'Agcom, Innocenzi e il direttore generale della Rai Masi. Il tribunale dei ministri ha ora 90 giorni di tempo - ma il termine non è perentorio - per svolgere gli accertamenti. Una volta terminate, il collegio restituirà il fascicolo alla procura con la richiesta di formulare le proprie conclusioni. Queste potranno essere di archiviazione o di rinvio a giudizio del premier.

8 aprile 2010

 

 

 

 

 

Il presidente della Repubblica promulga il legittimo impedimento

7 aprile 2010

"Dai nostri archivi"

Napolitano al governo: "Forti perplessità sul reato di immigrazione clandestina"

Napolitano: "Riforme mirate, ma il clima non è propizio"

Marcello Pera: "Napolitano viola la Costituzione"

L'abc del legittimo impedimento

Doppio ok a manovra e correzioni

 

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha promulgato il disegno di legge sul legittimo impedimento del presidente del Consiglio e dei singoli ministri a comparire in processo. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato il 10 marzo scorso, entra in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Il premier e i ministri per 18 mesi potranno "saltare le udienze nei processi penali in cui sono imputati presentando una giustificazione autocertificata da Palazzo Chigi. E' quanto prevede la legge sul legittimo impedimento, promulgata dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato lo scorso 10 febbraio, entrerà in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

7 aprile 2010

 

 

 

 

2010-04-07

Berlusconi vuole condividere

le riforme con l'opposizione

7 aprile 2010

Berlusconi vuole condividere le riforme con l'opposizione

"Dai nostri archivi"

Tra Berlusconi e Bossi vertice a Villa S. Martino sul dossier riforme

Berlusconi-Bossi: avanti con le riforme

Il Times elogia Tremonti, "buon candidato a miglior ministro delle finanze europeo"

Intercettazioni prima verifica

Fini vede Berlusconi: su giustizia e riforme intesa con l'opposizione

 

 

"È auspicabile che ci possano essere incontri con i leader dell'opposizione" sull'iter delle

riforme. È quanto afferma Silvio Berlusconi incontrando i giornalisti al termine dell'ufficio di presidenza del Pdl. La riforma della giustizia è una priorità perché i cittadini "sono preoccupati", ma "elaboreremo un

progetto non punitivo che ci piacerebbe condividere con l'opposizione" ha poi aggiunto.

Interpellato sul punto, il premier ha anche informato i cronisti di non aver ancora sentito

telefonicamente il presidente della Camera Gianfranco Fini: "No, ma stamattina c'è stata una telefonata di La Russa a Fini, incaricato da noi, e ci siamo dati appuntamento al mio ritorno

dagli impegni internazionali la prossima settimana". E ancora "Ho visto che la procura di Milano vuole fare ricorso sul decreto firmato oggi dal Capo dello Stato che con la sua firma riconosce che non vi sono evidenti segni di incostituzionalità ". Facendo poi un'analisi del voto il premier ha dichiarato: "A questo punto ci sono le condizioni perché l'Udc riveda il suo posizionamento, e si apra alla prospettiva di un ritorno nell'ambito dei moderati".

All'interno del governo c'è una esigenza legata al numero di sottosegretari che è "inferiore" alle

necessità ha anche detto Berlusconi, il quale ha ufficialmente confermato che Giancarlo Galan sarà ministro dell'Agricoltura e parteciperà al prossimo incontro ad Arcore alla presenza di Bossi.

7 aprile 2010

 

 

 

 

Il presidente della Repubblica promulga il legittimo impedimento

7 aprile 2010

"Dai nostri archivi"

Napolitano al governo: "Forti perplessità sul reato di immigrazione clandestina"

Napolitano: "Riforme mirate, ma il clima non è propizio"

L'abc del legittimo impedimento

Marcello Pera: "Napolitano viola la Costituzione"

Doppio ok a manovra e correzioni

 

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha promulgato il disegno di legge sul legittimo impedimento del presidente del Consiglio e dei singoli ministri a comparire in processo. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato il 10 marzo scorso, entra in vigore con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Il premier e i ministri per 18 mesi potranno "saltare le udienze nei processi penali in cui sono imputati presentando una giustificazione autocertificata da Palazzo Chigi. E' quanto prevede la legge sul legittimo impedimento, promulgata dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato lo scorso 10 febbraio, entrerà in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

7 aprile 2010

 

 

 

 

Berlusconi-Bossi: avanti con le riforme

di Lina Palmerini

7 aprile 2010

Berlusconi-Bossi: avanti con le riforme

"Dai nostri archivi"

Tra Berlusconi e Bossi vertice a Villa S. Martino sul dossier riforme

Ghedini: "Lega alleato granitico sulla giustizia"

IL PUNTO / La "regia" leghista non va presa alla lettera, ma nella sostanza

Intercettazioni prima verifica

Bossi rilancia: federalismo subito

Avanti sulle riforme. La cena di Arcore tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi – con adeguate rappresentanze sia del Pdl che della Lega – ha dato il via libera a una road map che tiene insieme quelle istituzionali, il federalismo, il fisco e la giustizia. Insomma, si tira dritto anche se il vertice di ieri sera non ha sciolto la vera questione: a chi sarà affidata la regia? Anche perché su questo punto si aspetta il faccia a faccia tra il premier e Gianfranco Fini. La forma di stato è quella che il Carroccio, con un'intervista di Roberto Maroni, cerca di intestarsi accreditandosi come interlocutore dell'opposizione e questo crea non poche fibrillazioni nel Pdl. La vigilia stessa della cena – poche ore prima che gli invitati arrivassero a Villa San Martino – è stata segnata da una polemica innescata da Farefuturo.

Ma sul piatto, ieri sera, il premier ha messo anche le riforme che ha più a cuore: la giustizia con il provvedimento sulle intercettazioni su cui si è discusso anche dopo che Bossi e Tremonti hanno lasciato il vertice. Sotto esame le due opzioni: o lasciarlo così com'è "sfidando" il Quirinale o accedere alle modifiche a partire da quell'aggettivo "evidenti" indizi di colpevolezza. Ma sul tavolo c'è anche il fisco, che come dicono i sondaggi, è in cima alle aspettative degli italiani, come pure la riduzione dei parlamentari. Il tavolo era al gran completo: c'erano i ministri Giulio Tremonti, Roberto Maroni, Roberto Calderoli e poi Sandro Bondi insieme agli altri due coordinatori del Pdl Ignazio La Russa e Denis Verdini ma a rafforzare la componente leghista oltre al Senatur anche suo figlio Renzo e Roberto Cota. Insomma, lo stato maggiore di Lega e Pdl – ma c'era anche Giuliano Urbani – convocato soprattutto per risolvere due nodi: la gestione del dialogo sulle riforme e il rimpasto di governo con la sostituzione di Luca Zaia.

La cena è arrivata dopo un pomeriggio di tensioni. Scatenate in particolare, dal web magazine di Farefuturo, in cui il direttore, Filippo Rossi invitava il Pdl a "battere un colpo per non morire tutti leghisti". Da qui è partita una polemica che finirà nell'incontro di oggi tra Fini e Berlusconi, prima dell'ufficio di presidenza del Pdl (anche se non c'era conferma). In attesa del faccia a faccia, nel Pdl ieri si è accesa la miccia. "Una nota stonata", ha definito la nota di Farefuturo Sandro Bondi seguito da Fabrizio Cicchitto che si chiede: "In quale pianeta è vissuto Farefuturo quando parla di Pdl muto". Ma poi a spegnere i fuochi è arrivato Adolfo Urso, segretario generale di Farefuturo che chiarisce: "L'intervista di Maroni, ottima dove consacra il semipresidenzialismo, ha suscitato contrastanti commenti, come quello di Filippo Rossi, che non coincide con il pensiero della fondazione". Spento questo fuoco resta accesa però la sostanza del contendere: ossia quella famosa regia a chi va? Italo Bocchino, vicepresidente deputati Pdl, e fedelissimo del presidente della Camera, lancia Fini "pivot": "È il Pdl la locomotiva avendo preso tre volte i voti della Lega. Un ruolo da pivot spetta a Fini: può garantire da un lato la coesione della maggioranza e il dialogo con l'opposizione; dall'altro un attento ascolto delle valutazioni del Colle".

Intanto la Lega comincia a muovere le sue pedine. "Per negoziare il federalismo con il governo centrale, il Nord ha la necessità di presentare un'unica piattaforma comune tra tutte le regioni settentrionali. Dovrà muoversi a falange macedone per questo obiettivo", ad annunciarlo è Luca Zaia, governatore del Veneto che anticipa anche un nuovo statuto regionale entro la fine dell'anno. E le tensioni di Roma tra Pdl e Carroccio si sentono pure sul territorio. È tranchant Letizia Moratti, a chi gli chiedeva della candidatura di Bossi a sindaco di Milano: "36 a 14", rispondeva citando le rispettive percentuali di voti. Pure la rivendicazione del sindaco di Napoli per il Carroccio – fatta da Roberto Maroni – crea polemiche in Campania che Stefano Caldoro cerca di attenuare: "Era solo una battuta".

Restano i paletti del Pd. "Se si pensa di mascherare sotto un presidenzialismo all'americana o alla francese un sistema sudamericano con una curvatura populista, noi non ci stiamo", diceva Pierluigi Bersani che però si dice pronto a votare sia "il Senato federale che la riduzione del numero di parlamentari" e non esclude la sua candidatura a premier nel 2013.

IL PUNTO / La "regia" leghista non va presa alla lettera, ma nella sostanza (di Stefano Folli)

INTERVISTA / Ghedini: "Lega alleato granitico sulla giustizia"

7 aprile 2010

 

 

 

 

La "regia" leghista non va presa alla lettera, ma nella sostanza

7 aprile 2010

Dietro la polemica sulla "regia delle riforme", rivendicata alla Lega in un'intervista di Roberto Maroni al Corriere della Sera, c'è un punto cruciale. Lo stesso che ieri sera aleggiava sulla cena di Arcore fra Berlusconi e Bossi. Non è una mera esigenza di "visibilità" del Carroccio, come dicono ironici alcuni esponenti del Pdl, ad esempio Gasparri. D'altra parte, non è nemmeno il preannuncio di un terremoto all'interno del centrodestra, come spera, illudendosi, qualcuno dalle parti del centrosinistra.

In realtà stiamo assistendo al realizzarsi di quello scenario post-elettorale inevitabile dato il risultato delle urne. Non un ricatto a Berlusconi, bensì l'esordio della "nuova" Lega in un ruolo nazionale. È chiaro, in altri termini, che la lealtà di Bossi al presidente del Consiglio non significa acquiescenza o addirittura delega in bianco.

La Lega ritiene, non senza motivo, di rappresentare il Nord, il grande territorio dove il Pdl - parole del capo - "è appena riuscito a reggere davanti al nostro tsunami". Quindi vuole seguire passo passo, in prima persona e non attraverso mediazioni, l'itinerario riformatore. Contribuendo a fissarne l'agenda e le priorità. Definendo, o meglio guidando il confronto parlamentare con l'opposizione. Ne deriva che il termine "regia" non va preso alla lettera, visto che il compito del regista spetta ovviamente al premier. Ma nella sostanza esso indica l'intenzione leghista di non restare in secondo piano e di incalzare Berlusconi da subito. Non è questione di conservare il ministero dell'Agricoltura o di rivendicare il municipio di Milano: questi sono aspetti, diciamo così, secondari su cui Bossi è abile a spargere un po' di fumo per coprire i suoi veri obiettivi. Che riguardano il merito delle riforme, il loro percorso e quindi il rapporto con l'opposizione.

Soprattutto sull'ultimo punto il vecchio combattente non si sente di lasciare mano libera a Berlusconi. Per due ragioni. Primo, è nota l'estrema diffidenza berlusconiana verso qualsiasi intesa con la sinistra: tanto è vero che il premier non rinuncia a tenere bene in vista la bandiera della legge sulle intercettazioni, ovvero un argomento scabroso che certo non facilita il dialogo. Secondo, Berlusconi resta, come è noto, la figura con cui l'opposizione ha più difficoltà ad affrontare una discussione di merito. Sul presidenzialismo e sul resto.

Questo significa che gli interventi sia di Maroni sia di Calderoli vanno visti come altrettanti segnali al centrosinistra, affinché sappia che nella maggioranza c'è chi sta tessendo una tela che dovrà comprendere i vari aspetti del federalismo, a cominciare da quello fiscale, e il modo di rafforzare il governo centrale. L'ipotesi "francese" (semi-presidenzialismo) discussa a suo tempo dalla commissione D'Alema è un chiaro invito alla controparte. Idem per il tentativo di collocare la riforma della giustizia in un contesto che non sia distruttivo come il colpo di pistola di Sarajevo.

È vero peraltro che si profila uno spazio centrale per il presidente della Camera. Nella triangolazione fra maggioranza, opposizione e Quirinale, Fini sarà determinante. Ecco perchè non va presa sul serio la bufera che ha investito la fondazione finiana Farefuturo, di cui è nota l'autonomia. Anche l'affermazione secondo cui "non possiamo morire leghisti" non va interpretata come un atto di guerra contro il Carroccio. Al contrario, lo scenario impone che Bossi e il co-fondatore del Pdl s'intendano.

 

 

 

 

Ghedini: "Lega alleato granitico sulla giustizia"

di Donatella Stasio

7 aprile 2010

Ghedini: "Lega alleato granitico sulla giustizia"

"Dai nostri archivi"

Berlusconi-Bossi: avanti con le riforme

Tra Berlusconi e Bossi vertice a Villa S. Martino sul dossier riforme

Intercettazioni prima verifica

Presidenzialismo solo con il federalismo

Il Times elogia Tremonti, "buon candidato a miglior ministro delle finanze europeo"

"Sono molto tranquillo sull'apporto che la Lega darà alle riforme. Sulla giustizia, è sempre stata un alleato granitico. Anzi, su alcuni temi ha avuto posizioni persino più avanzate del Pdl".

Niccolò Ghedini, avvocato nonché consigliere giuridico del premier, è arrivato ad Arcore lunedì sera, alla vigilia del faccia a faccia tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Ieri, dalle colonne del Corriere della sera, il ministro dell'Interno Roberto Maroni aveva sfoggiato un'inedita determinazione nel sostenere le riforme della giustizia, dalla separazione delle carriere all'eliminazione dell'obbligatorietà dell'azione penale, dalla stretta sulle intercettazioni allo sdoppiamento del Csm. "L'ho soltanto scorsa", assicura Ghedini, ammettendo tuttavia che le parole di Maroni vanno persino "oltre" le sue posizioni.

Sembra che la Lega abbia abbandonato la cautela del passato sulla giustizia. Questo vi rassicura?

Personalmente non ho mai avuto preoccupazioni sulla Lega. Sia con Castelli, quand'era ministro della Giustizia, sia dopo, in tutte le consultazioni che abbiamo avuto, la Lega si è dimostrata un alleato granitico sulla giustizia e su alcuni argomenti ha avuto posizioni persino più avanzate del Pdl. Quindi, sono molto tranquillo sull'apporto che daranno alle riforme della giustizia.

Dopo le elezioni, però, sembra che la Lega voglia pesare di più: alla Camera sta già facendo le pulci ai ddl "svuotacarceri" del governo ("messa alla prova" degli imputati di reati fino a 3 anni e "detenzione domiciliare" per i detenuti con un anno di pena residua).

Non ne so nulla. Ma ritengo che la "messa alla prova" sia un fortissimo strumento di prevenzione criminale, che ha funzionato benissimo con i minorenni e che funzionerebbe altrettanto bene con i maggiorenni.

Intercettazioni: si discute se modificare uno dei presupposti per autorizzarle, gli "evidenti indizi di colpevolezza". Alfano dice che il governo "non s'impiccherà a un aggettivo" (evidenti) ma il vice presidente del Csm Mancino ricorda che il problema è il sostantivo (colpevolezza, invece di reato). Secondo lei?

Io non ho particolari preclusioni. Ricordo solo che la nostra riforma iniziale era molto diversa da quella uscita dalla Camera e ora al Senato, frutto di una lunga discussione parlamentare. Nessuno di noi si vuole ammazzare per difendere quel testo. Ma al di là di aggettivi o sostantivi, i punti nodali sono i divieti di pubblicazione e il controllo sulla motivazione del giudice che autorizza gli ascolti. Bisogna evitare gli abusi dei magistrati, che da anni, al di là di come sono scritte le leggi, le interpretano come vogliono.

Il 12 aprile riprende il processo Mills in cui è imputato Berlusconi. Entro il 10, il capo della stato deve decidere se firmare il "legittimo impedimento". Lei che si aspetta?

Mi aspetto che la legge entri in vigore. Non mi aspetto indicazioni negative dal Quirinale. Ma il presidente della Repubblica è sovrano, quindi vedremo.

Se la legge sarà rinviata alle Camere, la cambierete anche se non c'è l'obbligo di farlo?

È ovvio che le indicazioni hanno un peso politico importante. Ma, ripeto, a me non pare ci siano evidenti problemi di incostituzionalità, tali da impedire la firma.

Tra i punti critici della legge, oltre all'automatismo, c'è anche il divieto di assumere, durante la sospensione del processo, le prove urgenti. Neppure il Lodo Alfano prevedeva questo divieto.

A me pare che la legge vada bene, anche su questo punto, e non mi aspetto che torni indietro. In caso contrario, valuteremo.

7 aprile 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SECONDA MANO

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2010-02-11

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EL PAIS

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LE MONDE

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THE WALL STREET JOURNAL

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